È una testimonianza dal punto di vista della vittima, dell’accusata. La prima, dal momento che la norma dettava di bruciare le carte processuali insieme alla strega. Una confessione generale resa dopo anni di segregazione nelle prigioni di Évreux e poi di Rouen, anni di torture e interrogatori. A parlare è Madeleine Bavent, monaca sul cui capo pendono accuse innumerevoli che si possono sintetizzare in quella più vaga di stregoneria. Dopo i casi di Aix-en-Provence e di Loudun è la volta del convento di Louviers, dove si dice accadano cose al di là dell’immaginabile ma di cui possiamo farci un’idea leggendo il resoconto di Madeleine Bavent, pubblicato in Italia per la cura e la traduzione di Anna Lia Franchetti (La strega. Una storia vera, Clichy, 2019, pp. 205, euro 14).
È il 1643 quando la monaca, in soli dieci giorni, viene indagata e giudicata colpevole di «apostasia, sacrilegio e magia» e spedita nelle prigioni episcopali a scontare la sua pena direttamente con Dio e con un meno misericordioso Penitenziere, che non manca di infliggerle supplizi di ogni genere, lei già vittima della attenzioni del satanico padre confessore Picard – morto prima del processo e poi esumato e bruciato – e del suo successore Boullé – bruciato anch’egli. Quando arriva a Rouen la pena viene sospesa a causa dell’impossibilità a procedere nei confronti della ex-superiora che si trova a Parigi, meglio protetta dal Consiglio del Re. Madeleine confessa il confessabile ma non ci esime dal discernere il vero dal falso: «Tuttavia, per tutto quello che dirò in materia, supplico coloro che vedranno questo scritto di prestarvi fede solo nella misura in cui lo riterranno opportuno, e di separare ciò che penseranno essere reale da quanto porterà il segno di qualche inganno; sta a me riferire tutto in spirito di sincerità, come penso di averlo visto, ma sta alle menti più illuminate avere il necessario discernimento». Ci sta chiedendo, Madeleine Bavent, di leggere tra le righe di un pentimento impostole dalle circostanze e dai maltrattamenti? Eppure la sua confessione sembra autentica, come autentica è la lotta con il demonio che l’assale in modi ignominiosi. Epperò, e a varie riprese, torna quella frase che instilla il dubbio, tantopiù che «la giustizia deve fare attenzione alle persone alle quali ci affida nelle prigioni e durante i trasferimenti perché abbastanza spesso le pecore vengono affidate alla sorveglianza dei lupi»; e poi: «tuttavia sono così disgraziata», dice pentita di aver precedentemente detto e firmato il falso in conseguenza delle pressioni subite, «che se mi trovassi ancora nelle stesse condizioni e situazioni, non so se mi succederebbe di fare ciò che ho fatto. Il mio Dio non lo permetterà, se vorrà, o mi darà più forza». La forza della dissimulazione, della perifrasi?
Una storia vera, quella di Madeleine Bavent, capro espiatorio di una società che imponeva il suo dominio sfogando le tensioni interne nella violenza, come forma di legittima difesa del potere patriarcale; perché, se è vero che furono arsi sul rogo anche degli uomini, come nei casi di Loudun e Louviers, è sempre stata la donna ad essere nel mirino della repressione, laica e religiosa. «Il fulcro delle persecuzioni è stata la misoginia», puntualizza Mona Chollet nel suo Streghe. Storie di donne indomabili. Dai roghi medievali a #metoo (Utet, 2019, pp. 253, euro 18, traduzione di Eleonora Marangoni). La caccia alle streghe che insanguinò l’Europa grossomodo tra il XVI e il XVII secolo, con esecuzioni che si protrassero fino al XVIII, fu disciplinata da quel micidiale Malleus Maleficarum degli inquisitori Istitoris e Sprenger e fu alimentata, afferma Chollet, dall’invenzione della stampa che ne consentì la diffusione, favorendo altresì la nascita di un cospicuo filone editoriale che diede libero sfogo a un’allucinazione collettiva. Nel XV secolo, in una specie di premonizione, venne smantellato lo statuto particolare delle beghine (già proibite nel 1215 dal Concilio ecumenico lateranense e subito dopo consentite da un’approvazione orale di Onorio III, ma con reiterate condanne di sinodi e papi). Le beghine, comunità femminili di vedove e nubili a carattere prevalentemente religioso, dislocate in Germania, Belgio e Francia, sfuggivano all’autorità maschile riunendosi in case comuni o in piccoli gruppi attorno a uno spazio verde dove era possibile coltivare erbe officinali. Ma se il Malleus fornì ampi spunti per la persecuzione delle streghe fu sufficiente anche il solo sospetto o una macchia sulla pelle a condannare una donna.
«Oggi le streghe sono dappertutto», dice Chollet, sono tornate: da WITCH a Sorcières, dal #metoo al Witch Bloc, dalle adunate dove si pratica il malocchio contro Donald Trump alle manifestazioni di protesta contro gli omicidi razzisti commessi dalla polizia o contro la messa in discussione del diritto all’aborto. «La strega incarna la donna libera da ogni dominio, da ogni limitazione; è un ideale cui tendere, e ci indica il cammino».
[Articolo originariamente pubblicato su Il Manifesto]