Nell’ultimo romanzo di Sujata Massey per Neri Pozza, La signora di Bhatia House, la protagonista Perveen Mistry, unica donna avvocato della città con una laurea conseguita a Oxford e divenuta socia dello studio del padre, ci accompagna nella Bombay del 1922.
Uma Bhatia nella casa di famiglia, Bhatia House, ha organizzato un tea party di beneficenza a cui partecipano signore della Bombay bene, signore altolocate inglesi e persino l’ultima moglie del principe di Varanpur: l’evento è infatti una raccolta fondi per la creazione del primo ospedale gestito e dedicato esclusivamente alle donne:
“Dobbiamo rendere il nostro ospedale accogliente per tutte» stava dicendo in un fluente marathi, la lingua comune alla maggior parte della gente nata e cresciuta a Bombay e campagne circostanti. «Persino le guardie dell’ospedale potrebbero essere donne. E ovviamente ci saranno le infermiere, ma abbiamo bisogno di più medici donna. Farò del mio meglio per reclutarne, ma spero che anche voi incoraggerete le vostre figlie a frequentare la facoltà di medicina».
Mentre i calorosi interventi delle partecipanti si susseguono dal palco, la festa si trasformerà ben presto in un dramma perché il nipotino del facoltoso padrone di casa, Ishan Bhatia, viene avvolto dalle fiamme e la sua giovane bambinaia, ayah Sunanda, una ragazza di vent’anni, si precipiterà coraggiosamente su di lui rischiando la sua stessa vita per portarlo in salvo: entrambi resteranno gravemente ustionati ma Sunanda non verrà premiata per questo suo eroico gesto, al contrario verrà cacciata da Bhatia House.
Perveen Mistry, dopo aver saputo della sua incarcerazione con l’accusa di essersi procurata un aborto, assumerà con vigore la difesa della giovane ragazza intuendo fin da subito l’ingiustizia che sottende il suo arresto: deciderà di aiutarla pro bono non disponendo la giovane di soldi propri.
Da questo accadimento il romanzo mostrerà pagina dopo pagina scenari di una Bombay degli anni Venti ancora molto lontana da quella che sarà la sua indipendenza che avverrà solo nei decenni successivi e pone particolare attenzione alle figure femminili, sia ai loro precipui ruoli nelle varie etnie lì presenti con i loro così differenti usi e costumi, sia nella convivenza obbligata con quelle di origini britanniche.
Sujata Massey, con la scelta di aprire la sua narrazione sulla richiesta di donazioni per la costruzione di un ospedale per le donne, sottolinea la necessità e l’urgenza di questo tipo di struttura sanitaria non essendocene mai stata una con questa specializzazione, in una società in cui l’egemonia indiscussa appartiene al ruolo maschile. Pone inoltre l’accento sul dolore fisico che proprio le donne hanno patito con gravidanze che potevano avvenire fin dall’età di dodici anni, in corpi non ancora sufficientemente irrobustiti per una procreazione, e sull’elevato numero dei parti per ciascuna di esse, ma anche sulle morti premature dei neonati o delle stesse madri. E ancora, la noncuranza verso il corpo femminile per la mancanza assoluta di igiene e di conoscenze mediche appropriate e, ancor di più, per l’inesistenza di qualunque pratica contraccettiva per il controllo delle nascite a causa di motivi religiosi, di superstizione o di totale disinformazione. Ma è interessante leggere come lei faccia anche evidenti accenni e precisi riferimenti alla depressione post parto di cui una mamma può soffrire.
Il mondo che l’autrice ci descrive è quindi contornato da soprusi e violenze in cui le donne vivevano senza protezione alcuna da parte della società, laddove perfino un abuso sessuale era considerato dalla stessa persona che l’aveva subito una vergogna da non poter dichiarare neppure all’interno della propria famiglia per non rischiare di essere ripudiata.
Al contempo c’è una particolare dedizione e benevolenza verso il ruolo certamente più illuminato degli uomini di casa Mistry a cui la scrittrice sembra dedicare la propria visione ideale di famiglia con il notevole carisma del padre Jamshedji che ha permesso alla figlia di studiare all’estero e l’ha nominata socia dello studio, e il fratello Rustom che ha appena avuto una figlia e a cui la stessa zia Perveen insegnerà a tenere in braccio la piccola Khushy e a far nascere in lui il sentimento di accudimento e di amore paterno, che si manifesterà apertamente con gesti protettivi verso la neonata.
Il romanzo, che è un giallo dal ritmo incalzante e dai risvolti del tutto inaspettati, riesce a creare nel lettore sorpresa e suspence mentre Perveen ricerca freneticamente le prove dell’innocenza di Sunanda arrivando poi a scoprire un illecito scenario che coinvolge uomini dell’industria, della polizia e perfino delle alte sfere del tribunale della città. E sarà proprio grazie a questa angolazione e prospettiva sulla società invischiante e corrotta dell’epoca che Sujata Massey trarrà spunto per dare risalto a episodi sociopolitici importanti nella Bombay di quegli anni sino a fare precisi riferimenti, nominandolo, anche all’incarcerazione di Gandhi avvenuta pochi mesi prima.
Chiara Gilardi
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Sujata Massey, La signora di Bhatia House, Neri Pozza, tr. Laura Prandino, pp. 416, euro 20,00, ebook euro 9,99