Ho incontrato due volte Simone de Beauvoir nel corso della mia vita, una volta di persona, un’altra per interposta biografia. Mi trovavo a Roma, nei primi anni Settanta. Con Giancarlo (mio marito, Giancarlo Vigorelli) entriamo al Moro e ci viene incontro il proprietario, il famoso Trimalcione per Fellini: «Ca..o Professò, che fortuna, sono appena entrati i suoi amici, il sor Sarte, con la Sora Simona!»
La Sora Simona era una donna molto bella, addirittura chic che, come lei stessa diceva, amava travestirsi da governante. Ci siamo seduti allo stesso tavolo, Sartre mi soppesava, ero una novità nella vita di Giancarlo, lei mi sorrideva. Parlava poco, misurava le parole, ascoltava. Abbiamo proseguito la serata in un locale, Sartre forse era un po’ allegro, lei sempre divertita ma misurata. Mi ha invitata a Parigi, mi spiace di non aver approfittato della sua disponibilità.
La seconda volta, ma lei non c’era più, mi trovavo a New York, era il 1989 e sono entrata in una libreria di Park Avenue dove presentavano l’edizione in inglese della sua biografia. Era stato allestito un altare di libri nella magnificenza della location. Ho sfogliato il volume emozionandomi, vi ho ritrovato volti e circostanze, ho letto una pagina sull’amicizia che l’aveva legata a mio marito insieme a Jean Paul.
Con altrettanta emozione, attenzione e nostalgia, affronto questo libretto dedotto da un’intervista del ’77. Chi interroga è Anna Maria Verna, chi risponde è lei, Simone, due colonne del movimento femminista allora nel massimo fulgore; sono passati quarant’anni ma il buon senso della de Beauvoir non è stato intaccato dal tempo. Tutte le sue risposte ai temi più scottanti del femminismo sono impastate di cultura e buon senso; non è mai estremista, non cerca il sangue, osserva, propone, antivede. Dall’altra sponda dell’oceano il femminismo è connotato da rabbia, orgoglio e volontà di sopraffazione. Simone appartiene a una cultura antica, sa confrontare le vicende parallele tra Europa, Russia e Cina, sa indagare nella storia, nei motivi, quasi sempre economici, che hanno relegato la donna al ruolo di “Altro” e propone, sapendo che sarà la naturale evoluzione a colmare gli abissi, a cancellare le differenze sempre a scapito delle donne e, spesso, per opera proprio di donne che hanno avuto il potere.
Trovo profetiche alcune sue osservazioni, sul tema della violenza ad esempio. Già negli anni Settanta la violenza sulle donne si manifestava in crescendo, sia perché le donne iniziavano a dichiararla, sia perché il maschio sentiva come aggressiva la conquista dell’uguaglianza e reagiva con la superiorità fisica di fronte alla supposta uguaglianza se non superiorità intellettuale. Riesce a scindere politica e femminismo, non necessariamente la sinistra ha liberato le donne, forse le ha usate; né il proletariato né la borghesia le hanno promosse a ruoli uguali, mentre lo scopo del movimento era che le donne potessero fare carriere senza ostacoli, non come rivali (Betty Friedan), non su piani competitivi ed elitari, ma in base alle loro riconosciute competenze, pur imprigionate dalle vecchie strutture maschiliste della famiglia, della maternità. Molto interessante la citazione del libro della Firestone secondo la quale l’emancipazione della donne inizia dall’emancipazione dei bambini, liberati dai vecchi schemi della famiglia tradizionale, quindi lontani e liberi da complessi di Edipo o Clitemnestra e in riferimento ad altri bambini come elementi portanti della loro società. Betty Friedan la ferisce, accusandola di sottostare a regole ancestrali e maschiliste in merito al suo rapporto con Sartre, Simone risponde serenamente (quando può, ammette, perché la Friedan non smette di parlare) e rivendica il diritto di ogni donna ad occuparsi di chi ama, sia un uomo, un bambino o un’altra donna.
Di quest’intervista ci rimane il senso di un movimento che ha fatto storia, che ha smosso le acque, che forse non ha raggiunto tutti gli obbiettivi ma certo ha dato alla donna coscienza di sé, obbligando l’uomo, in quanto società dominante, a riconoscerle meriti e diritti. Non so cosa direbbe oggi la de Beauvoir delle “quote rosa”, certo, sorridendo, ammetterebbe che ha lottato invano se le partecipazioni femminili alla vita sociale e alla cosa pubblica sono regolate, anzi obbligate da quote e non da riconoscimenti di merito.
Sarebbe opportuno riproporre le stesse domande oggi, forse non è facile trovare un’altra de Beauvoir, ma indagando nella coralità di donne attive potremmo dedurre quali e quanti cambiamenti ha subito la società mossa da quelle lontane istanze.
Recensione al libro Sulla liberazione della donna, di Simone de Beauvoir (a cura di Anna Maria Verna) edizioni e/o 2019, collana di pensiero radicale diretta da Goffredo Fofi, pp. 96, euro 8,00.
Leggi anche questa recensione a cura di Carla Tolomeo Vigorelli.