L’opus magnus di McCarthy, Suttree, è un libro bellissimo e terribile al contempo, un’epopea della povertà, della povertà irredimibile dei poveri ridotti ad archetipi dell’umanità, il cui unico conforto consiste nell’oblio e nell’alcool, in uno scenario cittadino ridotto a cloaca, degrado, violenza.
Sut il protagonista non è povero di nascita però, ha scelto la povertà per fuoriuscire dall’ipocrisia del suo ambiente, vive in una baracca galleggiante lungo un fiume immondo di liquami, rifiuti tossici, scarichi di fabbriche, ha una barca a remi ‘lo schifo’ con cui si mantiene pescando nelle acque putride del fiume, pesci gatto, aguglie.
La città è Knoxville nel Tennessee, ogni tentativo di vivere o di elevarsi di poco in questo degrado dantesco è come destinato al fallimento preventivo, nulla lo preserva il dannato, o finisce in carcere, o partecipa a risse senza esclusioni di colpi, o si rovina la salute con l’alcool assieme ai suoi compagni alcolizzati. Oceanfrog, J-Bone, Red, Callaghan, BillyRay, Reese, questa folla di disperati il cui destino è comunque la comune disfatta. L’immenso Ab, il nero mastodontico che la giustizia bianca uccide a suon di botte per decenni sino a sopprimerlo, Leonard il pederasta che intasca la pensione del padre morto occultando in casa il cadavere, Richard il cieco come un sinistro Omero, Harrogate che stupra i cocomeri, ma c’è un filo che unisce tutti quanti: l’insondabile solidarietà che li lega contro la città nemica, contro la giustizia cieca, l’apprensione con cui si cercano per avere notizie, se serve qualcosa, il dono disinteressato se uno ha fame e sete. Libro a mio parere tra i più belli del secolo scorso. Senza dubbio.
Marcello Chinca Hosch