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Tan Twan Eng anteprima. Il dono della pioggia

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Malesia, 1939. Philip Hutton ha sedici anni ed è l’ultimo di quattro figli di un ricco commerciante inglese di Penang, l’unico a essere nato dalle seconde nozze del padre con una donna cinese. A causa di ciò, in lui è presente una struggente malinconia, come se non possedesse un proprio luogo fisico da abitare né una reale appartenenza alle tradizioni familiari, siano esse cinesi o anglosassoni. Solitario, sembra trovare nel dialogo con il mare un interlocutore comprensivo: “Perfino da bambino il mare mi parlava sussurrando, in una lingua che immaginavo di capire solo io”.

Sarà l’incontro con un alto funzionario giapponese, Hayato Endo, a dare una svolta decisiva e imprevedibile alla sua esistenza. Lui è maestro di akido e svelerà a Philip i segreti di quest’arte marziale giapponese i cui fondamentali sono la concentrazione e la meditazione; una disciplina che ha l’intento di condurre chi la pratica all’unione e all’armonia con l’energia vitale e lo spirito dell’Universo:

L’aikido allena a guardare e a intuire al di là della superficie”.

E saprà avvicinarlo così tanto anche alla lingua giapponese e alle tradizioni di questa popolazione che il ragazzo le farà sue e non le abbandonerà mai più.

Endo-san è magnetico e attrae fortemente a sé Philip che in lui troverà il maestro di vita, il suo sensei. Scoprirà presto che il loro legame, il loro sentimento ogni giorno più solido, ha origini antiche, oltre il tempo e lo spazio temporale, e nulla potrà mai spezzarlo. È la reminiscenza di loro incontri passati e la certezza di incontri che verranno: si sono infatti già imbattuti e si incontreranno di nuovo in futuro, in altre vite, e in ciascuna di esse dovranno affrontare con coraggio il destino a cui entrambi non possono sfuggire.

Ma Edo-san non può rivelare per quale motivo è di stanza a Penang e, quando i Giapponesi invaderanno la Malesia, Philip dovrà fare scelte dolorose tra la fedeltà alla famiglia e quella al suo sensei, dibattuto tra il tradimento di Endo-san e i sentimenti che lo legano profondamente a lui, tra la cultura giapponese e le usanze che gli appartengono fin dalla nascita ma che ancora in lui emergono confuse. Un dolore profondo lo travolgerà, ma sarà proprio questo stato d’animo che gli permetterà di trovare la propria àncora nel mondo, avviandosi con consapevolezza incontro alla propria sorte. Proprio come una volta gli predisse un’indovina nel Tempio della Nube Azzurra:

Sei nato con il dono della pioggia. La tua vita abbonderà di ricchezze e di successo. Ma ti metterà anche alla prova”.

L’autore utilizza spesso associazioni: morbide, che volteggiano come una piuma davanti ai nostri occhi – “Corvi e gabbiani si libravano in cielo come giocattoli appesi alla culla di un bambino” – o graffianti, da far sobbalzare – “La barca scivolò sulla sabbia con un fruscio, come un coltello che taglia la steatite”. Parimenti, riesce a posare sulla carta scene cruente, in particolare durante l’invasione dei Giapponesi, per raccontare di sevizie e di dolore, mostrando in modo nitido e senza inganno alcuno la sofferenza patita dagli abitanti della Malesia.

Nel romanzo, ogni parola scritta da Tan Twan Eng accompagna il lettore con grazia e delicatezza, è preziosa e mai inappropriata e ha la capacità di penetrare fin sottopelle, in un luogo intimo e caro dell’animo, illuminandolo, infiammandolo. Lì sa divenire un sentimento profondo che ci pervade.

È un romanzo da cui emergono svariati contenuti che invitano alla riflessione, quali la forza della meditazione che eleva lo spirito e il corpo; la certezza delle proprie radici familiari, imprescindibile sostegno alla struttura interiore; la potenza dell’amore universale che ha la capacità di integrare l’essere umano nel cosmo. E ancora, il senso del dovere e del proprio destino che indirizzano il percorso degli individui, l’amicizia che è soprattutto fiducia totale all’altro, la morte che non è mai una reale fine ma è sempre una rinascita. E anche la guerra, sì, con la violenza che si porta appresso, che rende ciechi gli invasori e permette loro di violentare, di percuotere le vite altrui con sadismo, di distruggere ogni cosa e uccidere chiunque non si sottometta.

Ma nonostante la presenza e la narrazione anche di queste crudeltà, ciò che resta nel cuore del lettore dopo aver letto Il dono della pioggia è un senso di

Foto: Lloyd-Smith

profonda pace e di bellezza, di immersione nell’armonia universale, di giustizia. Un sentimento di bene incondizionato che abbraccia Philip ed Endo-san e la loro immensa spiritualità:

I suoi occhi scintillavano, palpitavano di un’energia cosmica che sembrava toccare la mia”.

Chiara Gilardi

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Posso parlare con il padrone di casa?

Sobbalzai leggermente. Era un precoce crepuscolo della seconda settimana di aprile e cadeva una pioggia sottile e sommessa, mentre il vento soffiava via i semi dall’erba selvatica, un avviso ingannevolmente gentile dell’arrivo ormai prossimo della stagione dei monsoni. I prati scintillavano e l’aroma della casuarina arricchiva l’odore della pioggia. Ero seduto in terrazza, sotto un ombrello, dove ero stato a leggere e a fissare il cielo, perso nei miei sogni, guardando le nuvole pesanti appoggiate sull’orizzonte che non si sarebbe addolcito. Le parole, benché pronunciate a bassa voce, mi avevano riscosso dai miei pensieri.

Mi girai e lo guardai. Era vicino ai cinquant’anni, di struttura media e tarchiata. I capelli erano quasi argentei, tagliati molto corti e lucenti come l’erba umida. Il viso era squadrato e segnato, i suoi occhi rotondi scintillavano in modo strano nel crepuscolo. I lineamenti erano troppo affilati per un cinese l’accento mi era sconosciuto.

Sono il figlio del padrone. Che succede? chiesi, tutto a un tratto consapevole di essere completamente solo. I domestici erano nei loro appartamenti, dietro la casa, intenti a preparare il pasto serale. Presi nota mentalmente di riprenderli per aver permesso a un estraneo di entrare in casa senza farsi annunciare in alcun modo.

Vorrei chiedervi in prestito un’imbarcazione rispose.

Lei chi e? Essendo un Hutton, potevo permettermi di fare il maleducato senza conseguenze.

Hayato Endo. Vivo là. Indico l’isola, la mia isola.

Era cosi, quindi, che era riuscito a entrare in casa. Era salito dalla spiaggia.

Mio padre non c’e dissi. Il resto della famiglia si trovava a Londra: erano andati a trovare William, che aveva completato i suoi studi universitari l’anno precedente ma aveva deciso di restare la insieme ai suoi amici invece di tornare a casa a lavorare. Ogni cinque anni mio padre, con grande riluttanza, affidava la responsabilità della ditta al suo direttore e portava i figli a fare un lungo soggiorno in patria, un’abitudine che molti inglesi della colonia consideravano sacra, alla stregua di un pellegrinaggio religioso. Io avevo scelto, questa volta, di non partecipare. Mio padre si era irritato perché aveva pianificato il viaggio in modo che coincidesse con l’inizio delle mie vacanze scolastiche e aveva in effetti parlato con il preside della scuola perché mi concedesse di saltare il primo mese del nuovo trimestre.

Ma sospettavo che i miei fratelli ne fossero sollevati: avevo spesso l’impressione che per loro non fosse assolutamente piacevole dare spiegazioni agli amici inglesi e ai lontani parenti a proposito di questo consanguineo mezzo cinese.

Comunque, ho bisogno che tu mi dia una barca insistette l’estraneo. Temo che la mia sia stata spazzata via dalla marea. Sorrise. A quest’ora sarà ormai a metà strada verso l’India.

Mi alzai dalla sedia di vimini e gli chiesi di accompagnarmi alla rimessa delle barche. Ma lui resto li, immobile, a fissare il mare e il cielo rannuvolato. Il mare può spezzare il cuore, neh?

Era la prima volta che sentivo qualcuno descrivere quello che provavo. Mi fermai, non sapendo bene cosa dire. Poche, semplici parole avevano incapsulato i miei sentimenti. In effetti il mare era bello da spezzare il cuore. Restammo in silenzio per qualche minuto, uniti da un sentimento comune.

Non si muoveva nulla, fatta eccezione per la pioggia e le onde. Saette simili a vene fiammeggiavano e palpitavano dietro un muro di nubi, rendendo rosa il cielo illividito, e io avevo l’impressione che mi venisse concessa la fugace visione del sangue che silenziosamente palpita nei ventricoli di un immenso cuore umano.

Il mare adesso e l’unica cosa che mi unisce alla mia patria disse l’uomo, e poi sembrò sorpreso di aver pronunciato quelle parole

c 2007 Tan Twan Eng

c 2024 Neri Pozza Editore, Vicenza

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TAN TWAN ENG è nato a Penang, in Malesia, e vive tra il suo paese e il Sudafrica. Ha studiato legge alla University of London, e lavorato nei piú importanti studi legali di Kuala Lumpur. Il suo primo romanzo, Il dono della pioggia, è stato selezionato nella longlist del Booker Prize nel 2007, e il successivo Il giardino delle nebbie notturne nella shortlist del Booker Prize 2012, oltre ad aver vinto il Man Asia Literary Prize 2012 e il Walter Scott Prize for Historical Fiction nel 2013. Sempre nel 2013 dal libro è stato tratto un film pluripremiato, diretto da Tom Lin Shu-Yu. Con Neri Pozza ha pubblicato La casa delle mille porte(2023).

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