È un romanzo breve, questo di Theodore F. Powys, breve, bucolico, metafisico e folgorante. Ambientato nel villaggio di Madder di Dio, perso nel tempo e nello spazio, seppur, ad occhio, collocabile tra le campagne inglesi del Dorset di fine Ottocento, dove la vita scorre seguendo leggi strane e mutabili, ovvero secondo nessuna legge, dà vita a personaggi che si muovono come poetiche marionette, guidate da un unico inconfessabile desiderio, seppur camuffato dai particolari, possessivi e ossessivi sogni di ognuno: Mew il fattore sogna di possedere l’intero paese e i suoi abitanti; James Gillet, l’altro fattore, sogna di trovare Dio; Ann Patch sogna di schiacciare tutti gli odiosi bambini come scarafaggi; Minnie Cuddy sogna d’essere posseduta; Joan Squibb sogna di cenare con salmone in scatola e prosciutto; Tom il Matto, infine, sogna il ritorno del vecchio Jar, il «cencioso calderaio ambulante che per campare martellava pentole e casseruole vecchie, e non era un bel niente per nessuno», la cui titanica assenza, rappresentata dalla sua pietra lì abbandonata, si avverte ad ogni pagina della storia e sembra essere all’origine del caos morale di Madder di Dio. Difatti l’assenza del vecchio Jar coincide con la pura e beata incoscienza di questi uomini e di queste donne, talmente incapaci di distinguere il bene dal male da risultare comunque innocenti, nelle piccole come nelle grandi cose di cui si compongono i loro giorni. Ma il delirio d’onnipotenza di Mew il fattore inizia a corrompere tutto e tutti, le anime e addirittura il paesaggio circostante… Riuscirà la comparsa del vecchio, deus ex machina, a generare una sorta di giudizio finale, riportando così l’ordine su questo paese incantato, immerso nella nebbia lirica e sospesa che rende indistinti fiori e stupri, odio, pietre e mucche? Come per un quadro di De Chirico o, per essere più precisi, di Rousseau il Doganiere, non c’è risposta, e la domanda finisce per sfumare nel sottile piacere della lettura de La gamba sinistra di Theodore F. Powys (1875-1963), grande amico di Sylvia Townsend Warner che fu determinante per la pubblicazione di questo breve romanzo (1923), ora tradotto da Adriana Motti per le edizioni Adelphi.