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Ti amo da morire

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Se ne parlava da sempre in paese di questa stanza. E per quei giochi della sorte che organizza gli incontri, io oggi camminando l’ho trovata.

Forse ora lei sia uscita, perché non sento brividi né freddo né paura, ma un risucchio doloroso e dolce che mi fa portare le mani al petto.

Spingo la porta e ancora sulla soglia percorro la stanza con lo sguardo. Non è tanto larga ma profonda, e abbastanza alta da contenere in fondo un soppalco nel quale si intravede un letto disfatto.

I muri bianchi mettono in risalto un quadro a sinistra. Il quadro è appoggiato a terra e non ha forme che si possano nominare. Forme che richiamano l’origine, un grumo nero che sporge e una forma rosa. L’utero, fabbrica di Dio sulla terra, penso, o forse lo sento come un sussurro all’orecchio.

E’ da qui che sei uscita, Alcesti?

C’è chi se ne è andato dall’altra parte guardando un quadro. C’era chi invecchiava in soffitta. E forse tu sei tornata per questa via.

Attraverso questa porta sei tornata?

Dal quadro, insieme a lei, è uscito il vecchio baule che custodiva il suo corredo nuziale.

Ora i suoi vestiti abitano la stanza.

Pizzo e catrame. I segni dell’acqua, i morsi, le fiamme.

Credits: Max Allegretti

Li guardo uno a uno. Sembra un corredo nuziale antico che si tiene in piedi da solo. Come se gli abiti fossero ancora abitati dal corpo per il quale sono stati misurati al dettaglio, cuciti, ricamati.

Mi avvicino al corsetto in pizzo bianco e sembra aprirsi una scena come in sogno.

Sotto il tessuto compare la visione di un corpo, che si vede e non si vede oltre il pizzo.

Un corpo promesso a uno sposo che berrà dalla vita che lei gli offrirà. Che seduta sul letto deciderà di offrire per salvarlo. Perché nessuno si salva da solo.

Il cuore di Alcesti, trafitto dalla scelta, sanguina attraverso il corsetto.

Ti amo da morire, dice Alcesti e muore.

Sprofonda e si perde.

Risale dopo tre giorni.

Rinasce senza memoria. Silenziosa. Ma i suoi abiti qui, ancora e di nuovo in piedi, raccontano la sua storia.-

Racconto ispirato alla mostra Ti amo da morire di Alice Tamburini. Lei nasce l11 settembre di 1978 a Rimini in una familia legata allarte e alla sartoria. Da bambina studia chitarra classica e abbracciata a lei esperimenta la magia del teatro e la della mesa in scena. Finito il liceo corre alla ricerca dei materiali, delle strutture e delle dimore. Diventa architetto. Ma la sua ricerca è appena iniziata. Ogni riccio è una domanda intorno ai suoi occhi vivaci e cuoriosi. Legge Rilke e pensa alluomo, guarda le sue cattedrali e guarda i suoi castelli di sabbia. Nel 2011 si trasferisce a Milano e la sua famiglia cresce. Madre di uno, due, tre figli che moltiplicano la sua energia Alice unisce i punti del suo destino e arriva allabito: dimora originaria delluomo. Dialoga con i tessuti e le trame. Dialoga con quello che gli abiti dicono. Cerca ciò che esaltano e ciò che proteggono. Collabora con case di moda e disegna con successo internazionale la propria collezione, il brand che porta il suo nome. Cerca ancora. Dipinge sulle lastre con i materiali della costruzione e i colori della notte della luce e del sangue. Cerca nuova vita per i materiali. Nessun riciclo per iuta, organza, gesso, argilla, ma dalla terra una resurrezione. Una nuova vita, una seconda opportunità. La cerca per i pizzi dei suoi antenati e per la scatola di antichi bottoni che custodisce. Trova Alcesti e la sua storia di amore smisurato. Erge il suo corredo. Materiali preziosi e delicati prendono forma e si animano per raccontare il suo viaggio nell’aldilà e il suo ritorno. Sono presenza che si prende la scena nel teatro dei giorni nostri e tenta di vivere attraverso la scultura, di raccontare il viaggio trascendentale di un cuore che dice, e conferma fino alla morte, dalla quale ritorna per non essersi risparmiato: Ti amo da morire.

Mostra visibile su appuntamento – Via Calatafimi, 9 – Milano

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