La “storia” di Tom Cruise (Thomas Maphorter IV), nato il 3 luglio del 1962 a Syracuse vicino a New York, fedele a Scientology e pedigree di conquiste femminili da spavento – Rebecca De Mornay, Mimi Rogers, Nicole Kidman, Penelope Cruz, Katie Holmes per restare alle “ufficiali” – ci dimostra meglio di ogni altra che con l’impegno e la forza di volontà anche il ragazzetto meno talentuoso può trasformarsi in uno dei più apprezzati attori di Hollywood, e non solo al “botteghino”.
Il bellone per antonomasia, la faccia del sogno americano, l’eterno ragazzo per bene con il sorriso che non conosce confini, è diventato la più potente star di Hollywood grazie a una sapiente carriera costruita con cervello e pazienza. Deve al “nostrano” Zeffirelli il debutto nel 1981 nel melenso Amore senza fine e al grande Coppola la prima apparizione che si ricorda in mezzo a quell’irripetibile gruppo di futuri idoli delle teenager in I Ragazzi della 56a strada, finendo il proprio tirocinio come giovane recluta in Taps squilli di rivolta di Harold Becker.
I primi due film da protagonista sono il fiacco Il Ribelle del fotografo Michael Chapman, ambientato nel mondo del baseball di provincia, ove sostanzialmente ripete sempre la frase “Dai coach!”, e il più riuscito Risky Business di Paul Brickman, che si ricorda per il simulato concerto rock in mutande sul divano e per la frase: “Ogni tanto bisogna saper dire eccheccazzo!”.
Nel 1985 finisce in un osceno polpettone fiabesco del grande Ridley Scott, Legend, dove tra improbabili unicorni ed elfi degni di nota appaiono solo i suoi capelli lunghissimi che non porterà più. Ma nel 1986 con Top Gun del meno famoso Tony Scott invece “sfonda”, diventando il nuovo idolo delle ragazzine di mezzo mondo. Lo spericolato pilota Maverick, che guida gigantesche moto sullo sfondo di patinati tramonti californiani conquistando Kelly Mc Gillis tra le note di Take my breath away dei Berlin, oscura persino il debutto di Meg Ryan e Van Kilmer. Inoltre dopo quel film pare che anche il beach volley abbia subito un vero e proprio boom.
Sfoggia un taglio di capelli improbabile nel cupo Il Colore dei soldi di Martin Scorsese, ove propone un superbo balletto con stecca a fianco del mostro sacro Paul Newman, che in quel film sembra suo nonno. Nel 1988 conquista la sua prima e meritata candidatura all’Oscar per il fratello cinico ma dal cuore buono dell’autistico Dustin Hoffman in Rain Man, di Barry Levinson, però poi incappa nell’infelice Cocktail dove fa venire a tutti voglia di fare i barman mentre flirta, tra caraibici fondali artefatti, con una giovane Elisabeth Shue.
Nel 1989, grazie a Oliver Stone, mostra di essere diventato “grande” con Nato il 4 di luglio. E chi dice che non sarebbe un bravo attore, si riveda la scena in cui arriva alla stazione in carrozzella e incontra la ex fidanzata divenuta sessantottina, dove per mio conto azzecca una delle più intense espressioni della storia del cinema. Ma anche questa volta non vincerà il meritato Oscar perché ritenuto troppo belloccio dai vari “soloni” e così, dopo i compagni di scena Paul Newman e Dustin Hoffman, il suo terzo fortunato beneficiario sarà stavolta il regista Stone e il film, che si portano a casa l’ambita statuetta.
Con l’automobilistico Giorni di tuono (1990), dove duetta con il grande Robert Duvall – cui rivolge in giubbottone di pelle la frase di entrata “Dammi una chance, non ti deluderò”, incontra la sua futura seconda moglie, la ancora non troppo famosa Nicole Kidman. Con lei l’anno dopo girerà una sorta di “polpettone” epopeico in costume, Cuori ribelli (1992), di Ron Howard, in cui interpreta un irlandese che fa a pugni per sopravvivere e mantenere la fidanzata ricca.
L’anno dopo, nuova grande interpretazione a fianco di un memorabile Jack Nicholson nel legal militare Codice d’onore di Rob Reiner, in cui fa l’avvocato. Parte che ripete nel successivo Il socio di Sydney Pollack tratto dal best seller di Grisham (e la scena in cui fa piroette sulla strada di Memphis è da cult), dove spicca la recitazione di Gene Hackman. Nel successivo Intervista col vampiro di Neil Jordan (1994), appare un po’ inquietante tra Brad Pitt e Antonio Banderas. Quindi nel 1996 conquista la terza e meritata, quanto vana, candidatura all’Oscar con l’americanissimo Jerry Maguire di Cameron Crowe, dove c’è tutto lui, esagitato, positivo, leale al grido “Coprimi di soldi”, esaltato dalla celebre frase finale della futura Bridget Jones “Mi avevi già convinto al ciao”. Con Mission Impossible di Brian De Palma (1996) diventa il nuovo James Bond, ma prima di bissare il trionfo con il secondo e ancora più spettacolare MI2 (la scena della giravolta sul canyon è da brivido), se lo sequestra per oltre un anno il genio Kubric. Nasce così il capolavoro Eyes Wide Shut con cui si chiude il secondo millennio e anche il suo matrimonio.
Negli anni Duemila viene finalmente riconosciuto come valente attore anche dai più scettici quando, nel ruolo del Guru assatanato del superbo Magnolia di Paul Thomas Anderson, stupisce anche i più riottosi: la scena in cui si capriola a braghe calate davanti alla intervistatrice, resta inoltre fra le più sexy della storia del cinema. Dopo MI2 di cui si è detto, accetta di farsi sfigurare il bel volto nel mediocre Vanilla Sky di Cameron Crowe, quindi nel 2002 confeziona con Steven Spielberg uno dei più bei film di fantascienza del nuovo millennio e parlo dello straordinario Minority Report. A quel punto, dopo essere stato nell’ordine il più bello, il più ricco e il più potente di Hollywood, Tom Cruise è finalmente consacrato, alla bella età dei quaranta, anche come uno dei migliori attori su piazza.
Il resto è tutto sommato di minor rilievo, visto che i vari L’ultimo Samurai, Mission inpossible 3, Collateral, La guerra dei mondi, Leoni per Agnelli, Operazione Walkiria, Innocenti bugie ecc. aggiungono poco a quanto detto. Per essere uno che non sapeva recitare e che esibiva solo un gran sorriso americano non c’è che dire. Chi lo critica ancora come attore prende una solenne quanto snobistica cantonata, ma a lui, ricco, bello, famoso e pluripremiato, alla fine della fiera, che cosa volete che gliene importi?
Davide Steccanella