Una perversione sadica: “Quando vedi gruppi di persone che si buttano urlando le une sulle altre per una semplice bugia, non puoi fare altro che ridere. Vorresti premiarti con una corona d’alloro. Una simile vittoria è veramente dolce”.
Il germe del Male: “Chi invece vuole essere malvagio… veramente malvagio… deve mettere in piedi un sistema. Un sistema nel quale tutti sospettano di tutti gli altri nel modo più totale, e li controllano e li schiacciano per trarne un vantaggio. Un sistema che si sostiene e si alimenta da sé. Un sistema che sembra l’unica verità. Quel sistema è costituito da idee che vengono viste come fatti reali”.
La diagnosi di un esperto: “Le hanno dato una responsabilità che lei non si sente di assumersi. Che non si vuole prendere, diciamolo. Una responsabilità che tuttavia rientra nelle sue mansioni. Sì, perfino una responsabilità che lei si è preso volontariamente. Però è troppo pesante, e questo è logico”.
È in libreria Il cannibale di Tom Hofland (Carbonio editore 2024, pp. 208, € 18, eBook € 8, con traduzione di Laura Pignatti).
Tom Hofland è uno scrittore, drammaturgo e produttore di programmi radiofonici e podcast, De menseneter (Il cannibale) è vincitore del BNG Bank Literature Prize nel 2022.
Quando il capo del reparto Vendite e Qualità dell’Aletta, Lute, si trova improvvisamente a dover licenziare 32 dipendenti dopo l’acquisizione dell’azienda da parte di un investitore svizzero, affida l’incarico al cacciatore di teste Lombard. Quest’ultimo opera da un ufficetto che funge da bunker, osservando e percependo ogni dinamica nel reparto. Tuttavia, Lute inizia a sospettare delle reali intenzioni di Lombard, intravedendo un mistero dietro la sua figura draculesca e il suo insolito seguito, composto da un grande cane nero e un cowboy armato. E soprattutto dove vanno a finire gli impiegati licenziati da Lombard?
L’amore diventa una malattia da curare come se fosse una dipendenza: “Ci sedemmo in cerchio, e iniziò a parlarci del concetto romantico di amore, che era solo un costrutto sociale moderno e non aveva nulla a che fare con l’amore vero. Quell’idea mi piacque. Apprendemmo che l’innamoramento non è altro che una dipendenza, come quella dalla cocaina o dall’alcol. L’oggetto del tuo amore non è particolarmente legato a te né molto speciale, per quanto ti possa sembrare che lo sia”.
Emerge anche un’analisi perversa della società del mercato: “Chi mette in moto un sistema simile, basta che butti ogni tanto un cubetto accendifuoco e le fiamme riprendono. E io mi ci scaldo le mani. E le anime stritolate dal sistema? Non sono altro che cibo per cani”.
Un viaggio nel mistero del Male perpetrato grazie all’indifferenza delle persone e di un sistema dove non bisogna avere scrupoli nel fare cose ingiuste se sono utili: “Chi non ha paura non ha bisogno di coraggio”.
Così, in un mondo dove i valori sono un lusso troppo caro da mantenere, per risolvere questioni che altrimenti richiederebbero tempo, impegno e carattere, il Male diventa il rimedio più semplice.
Un libro surreale e visionario, che combina i tratti del romanzo gotico con elementi postmoderni che ricordano David Lynch e che parla del posto di lavoro come metafora di una civiltà brutale, con l’uomo governato da esseri deboli che per quieto vivere consentono l’orrore.
Carlo Tortarolo
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Pascal Bonare appoggia sulla scrivania la mano insanguinata. L’ispettore si sporge a guardare: la manica blu notte dell’abito, la camicia bianca macchiata di rosso, un gemello dalla doratura scrostata.
Vede la mano pelosa, il dito medio un po’ storto per una vecchia frattura. Guarda il sangue scuro, quasi nero, che si è rappreso sul dorso.
“È suo, il sangue?” domanda.
“No, non credo” risponde Pascal alzando la mano per mostrare che non ha ferite.
L’ispettore annuisce e si siede alla scrivania di fronte a lui. Il cuoio della sedia scricchiola sotto il peso del suo corpo robusto.
“Allora c’erano due donne, giusto, signor Bonaire?”.
“Bonare”.
“Come l’isola?”.
“Come l’isola senza la i”.
“Bonare”.
“Esatto”.
L’ispettore si avvicina la tastiera del computer.
“Due donne, giusto?”.
Pascal annuisce.
“Una aveva i capelli scuri, l’altra biondi, ricci”.
L’ispettore digita qualcosa con due dita.
“Ed erano su una Fiat Coupé? Rossa?
“Sì, una Fiat Dino Coupé 2400 del 1969, rossa. Me lo ricordo bene perché mio zio ha distrutto la stessa macchina tre anni fa”.
“La stessa macchina, o una macchina dello stesso modello?”.
“Lo stesso modello”.
I vecchi tasti ingialliti della tastiera sono appiccicosi sotto le dita dell’ispettore. Scruta lo schermo.
“E l’uomo? Era un suo amico?”.
“Un contatto di lavoro. Lo conoscevo da poco, anzi, per la verità non lo conoscevo affatto”.
“Italiano?”.
“Penso di sì”.
“Secondo il cameriere era tedesco”.
“Ah sì?”.
L’ispettore annuisce.
“Come ho detto” ribadisce Pascal, “in realtà non lo conoscevo”. Soltanto ora nota che la sua mano destra, quella insanguinata, trema. Stringe il pugno, ma il tremore continua. Anche l’ispettore se ne accorge.
“Se non è il momento, possiamo proseguire dopo”.
Pascal inspira a fondo ed espira impercettibilmente.
“Sto bene”.
L’ispettore alza il pollice con aria distratta e si concentra di nuovo sullo schermo sfarfallante.
“Dunque, era al ristorante con il suo conoscente tedesco. Lei era arrivato prima e aveva già preso un antipasto. A quel punto ordina i frutti di mare, e lui… ordina anche lui qualcosa del genere?”.
“Il porcheddu. Su quello era molto deciso. Senza sale”.
“Bene, porcheddu senza sale. Mangiate, parlate un po’, si avvicina un cameriere da un altro tavolo per chiedere se è tutto a posto, e in quel momento lei vede le donne”.
“Una sola” precisa Pascal. “Quella con i capelli scuri. Ho pensato che fosse la direttrice del locale, perché era vestita elegante. Veniva dalla cucina”.
“È venuta dritta verso di voi?”.
“È uscita dalla cucina diretta verso di noi, sì”.
“E poi?”.
“E poi? Poi ha puntato una pistola”.
“L’aveva già in mano?”.
“Non lo so. Penso di sì”.
“Pensa, o è sicuro?”.
“Penso”.
“Ok. Quante volte ha sparato?”.
“Tre volte. Contro il mio ospite. Da molto vicino”.
“Morto?”.
“Due colpi al petto e uno nell’occhio sinistro. Molto precisi”.
“E poi? Lei è scappato?”.
Pascal scuote la testa.
“Perché no? Non aveva paura di essere il prossimo?”.
“No, ero sicuro di no”.
“Be’, allora mi spieghi come faceva a essere così sicuro”.
“L’ho capito vedendola. Il suo obiettivo era lui. Guardava solo lui, e vedeva solo lui. Io e il cameriere era come se non ci fossimo”.
L’ispettore guarda lo schermo con la coda dell’occhio.
“Secondo il cameriere portava gli occhiali da sole”.
“Vero” conferma Pascal. “Quindi non potevo vedere i suoi occhi. Però sapevo che non ce l’aveva con noi. Non so perché, forse per la naturalezza di tutta la scena. Avrebbe potuto tranquillamente essere lì per portare una caraffa d’acqua, da quanto era spontanea e concentrata”.
“Non riesco a seguirla” dice l’ispettore.
“Voglio dire che il suo sembrava quasi un gesto abituale. È venuta verso di noi, e quando mi è arrivata vicino ha alzato il braccio, ha sparato tre colpi, poi ha proseguito dritto fino alla porta principale ed è uscita. Finito. Normale amministrazione. Una procedura ovvia, come dare il resto, per così dire”.
L’ispettore tamburella sulla scrivania con le unghie, pensieroso, ha un solco profondo tra le sopracciglia.
“Bene, e a quel punto ha visto l’altra donna?”.
“La macchina era ferma lì davanti, l’ho vista dalla finestra”.
“Da quanto tempo era lì?”.
“Questo non lo so. Forse da un’ora, o magari era appena arrivata”.
“E la donna?”.
“Quella bionda, con i ricci, era seduta al volante. La mora è salita e sono partite”.
“Sgommando?”.
“No, con calma, mettendo la freccia per girare”.
“Altri particolari? Cose che l’hanno colpita? Avventori un po’ strani al ristorante?”.
“Il mio conoscente era arrivato con un grosso pick-up, di quelli americani. E dentro c’era un cane”.
“Un cane?”.
“Sì, un cane”.
“Che genere di cane?”.
“Un barbone nero”.
L’ispettore riporta le dita sulla tastiera.
“È sicuro che fosse proprio un barbone?” domanda digitando.
“Sì. Sono cani che si notano”.
“È vero. Qui vediamo più spesso i labradoodle”.
“Quello era un barbone”.
“L’ha già detto. Quindi esclude che potesse essere un labradoodle?”.
“Scusi, ma lei ne ha mai visto uno, di labradoodle, ispettore? Non somigliano proprio per niente ai barboni”.
“D’accordo. C’era un cane” ripete l’ispettore. “Ed è un elemento che le sembra significativo?”.
Pascal si stringe nelle spalle.
“Be’, mi aveva chiesto dei particolari e mi è venuto in mente questo”.
L’ispettore riprende a digitare. Pascal è infastidito dal fatto che usi solo due dita.
“Signor Bonare” dice a un tratto l’ispettore. “Lo sa che lei mi ricorda molto mio fratello?”.
“Suo fratello?”.
“Sì. Ha gli stessi occhi. O sono le sopracciglia? È la cornice o il dipinto?”. L’ispettore si lascia sfuggire una risatina, ma si riprende in fretta. “Mio fratello è un grande. Un uomo corretto, coscienzioso, gentile, da bambino non avrebbe mai rubato neanche una caramella, capisce cosa intendo?”.
Pascal abbassa le spalle. Non gli interessa niente di quello che l’ispettore ha da dire di suo fratello.
“Ma la sua sensibilità lo rende anche… come dire… vulnerabile. A volte aveva la sensazione che la società lo prendesse in giro, e tutto sommato non posso dire che avesse torto. All’inizio la gente lo imbrogliava, poi con il tempo ha iniziato a imbrogliarlo la sua testa”.
Mentre dice queste parole l’ispettore si batte l’indice sulla fronte.
Pascal Bonare strofina con la mano il pugno tuttora tremante, come fosse un animale da ammansire.
“Scusi, ispettore, ma non capisco esattamente dove vuole arrivare”.
“Signor Bonare, dov’è il suo amico ora?”.
“Non è mio amico, è uno con cui ho avuto a che fare per lavoro”.
“Potrebbe anche essere il suo amante” taglia corto l’ispettore, improvvisamente irritato, “non ha importanza, ma vorremmo sapere dove si trova”.
Pascal si appoggia allo schienale della sedia come un bambino convocato in direzione.
“Come faccio a saperlo?”.
L’ispettore gira la testa di novanta gradi, inforca un paio di occhialini da lettura, si inumidisce il pollice con la lingua e prende un foglietto dalla scrivania.
“Le rileggo ancora una volta ciò che ha dichiarato quando i miei colleghi l’hanno trovata nel ristorante. Cito: ‘Il mio conoscente è stato colpito due volte al petto e una volta all’occhio sinistro. Io sono rimasto temporaneamente accecato dal sangue che mi è schizzato negli occhi, ma dopo essermi pulito con il tovagliolo ho visto la donna che aveva sparato dirigersi tranquillamente verso la porta. Il mio conoscente, riverso all’indietro sulla sedia, con la faccia, o quello che restava della faccia, verso il soffitto, è rimasto lì come una bambola di pezza. Sembrava che avesse la schiena spezzata, tanto era innaturale la sua posizione contro lo schienale. Poi si è raddrizzato con un rantolo, ha afferrato un tovagliolo dal tavolo, l’ha premuto con forza sul foro che il proiettile gli aveva lasciato dove prima c’era il suo occhio, e si è alzato. Non mi ha degnato più di uno sguardo, con l’occhio buono, e imprecando e urlando in una lingua che non capivo si è diretto verso la cucina, dov’è scomparso inghiottito da una porta basculante’”.