Tommaso Pincio ripercorre la sua carriera sulle pagine de La Lettura. Da quando ha inseguito il sogno dell’arte fino a quando si è consegnato alla letteratura, “due perfetti generatori di incertezza, due tra le più precarie attività a cui un individuo possa dedicarsi”. Racconta il lavoro in una galleria d’arte contemporanea, dove, sebbene la qualifica di direttore, in realtà era un “attaccatore”, il primo romanzo, scritto nei momenti morti, “con foga, ansioso di finirlo”, di notte, cosa che gli “riportava alla memoria “Il deserto dei tartari“ di Buzzati. E svela che fu “il bisogno affannoso di lasciare un segno, di non lasciarsi portare via dal passare degli anni” e la paura di finire come un vagabondo, che lo spinsero a diventare scrittore.
(Tommaso Pincio, La Lettura, Corriere della Sera, p. 32, 22.1.2012)