Una atmosfera calda e rassicurante permea Finché il caffè è caldo, di Toshikazu Kawaguchi. Gli eventi hanno luogo durante l’estate, all’interno di una piccola caffetteria edochiana fresca e tranquilla, che nasconde un affascinante segreto: da oltre cento anni garantisce agli avventori un viaggio nel tempo a testa, per pochi attimi soltanto e solo con una persona che sia già entrata nella saletta.
Quattro donne molto diverse tra loro raccolgono questa opportunità. La prima desidera tornare a quando lasciò che il fidanzato si trasferisse senza dirgli una parola; la seconda a quando il marito malato era ancora in tempo per dirle una cosa; la terza per rivedere la sorella e la quarta per incontrare il figlio adulto.
Scopriranno dall’asciutta cameriera Kazu che il salto è pieno di regole. Per esempio, bisogna aspettare si alzi la donna silenziosa e diafana che occupa l’unico “posto viaggiante”; non si può uscire dalla sala una volta trasferiti e non si può restare nell’altra linea temporale per più della durata di un caffè, versato al momento della partenza. Il motivo fantascientifico del salto nel passato – e alla fine anche nel futuro – è creativamente elaborato in chiave giapponese: nel caso in cui si contravvenisse al diktat principale, ossia «bere il caffè finché è caldo», la malcapitata diventerebbe uno spirito condannato a bere allo stesso tavolo del locale per l’eternità. Prenderebbe cioè il posto della donna che vi si siede ogni giorno.
Il tono gentile che accompagna la storia, concentrata più sulla caffetteria che sulle protagoniste, rende il romanzo facile da leggere e scorrevole. Questo avviene anche a discapito di una vera profondità di carattere: le protagoniste sono più tipologie di donne che persone reali, mentre la descrizione indugia sul loro aspetto fisico rivelando una mano maschile poco incline a riconoscere una compiuta autoconsapevolezza femminile.
Notazione valida soprattutto per Fumiko, la giovane donna sensuale e in carriera, che desidera rivedere il fidanzato Goro («Sì era una donna che coniugava bellezza e intelligenza, ma dire che lo sapesse è un’altra cosa»). Ma vale anche per la ribelle e incostante Hirai, a cui si contrappongono la docile e materna Kei e la moglie/infermiera Kotake. Elemento che non sembra però aver turbato i giudici del Suginami Drama Festival e oltre un milione di lettori, i quali hanno fatto di questo romanzo uno dei casi editoriali della pandemia, portandolo in pochi mesi a undici ristampe.
Due sono le caratteristiche chiave di questo libro: il tuffo nell’emotività e lo stile narrativo cinematografico. La storia indugia su eventi dal forte portato sentimentale, affronta la morte e la malattia, la maternità, l’amicizia e il mutevole concetto di affermazione personale quasi con leggerezza, senza effettivamente affrontarne l’entità del dolore ma toccandolo en passant. Il romanzo, esordio librario di Kawaguchi maturato dall’esperienza di regista e sceneggiatore, beneficia di continui scambi di visuale all’interno dell’ambientazione della caffetteria.
Il ritmo, fluido e sincopato, aiuta a non soffermarsi troppo sulla gravità degli eventi. Le descrizioni dal canto loro indugiano più su dettagli simbolici, come gli abiti, le riviste, il vapore che esala dalle tazze degli avventori. Il soffermarsi sul calore fisico del caffè serve a trasmettere più un calore emotivo: le avventure che i personaggi attraversano e condividono all’interno del locale li avvicinano a tal punto da coinvolgerli in un destino comune. Tutto sembra suggerire gioiosamente che, concentrandosi sui propri sentimenti, la vita acquisti più senso: sta ai lettori dirsi convinti.
Giulia Giaume
Recensione al libro Finché il caffè è caldo, di Toshikazu Kawaguchi, trad. Claudia Marseguerra, Garzanti 2020, pagg. 192, €16