Giovanni Succi è nato a Nizza Monferrato, nel 1969, ed è un autore e musicista rock (Madrigali Magri, dal 1994 al 2004; Bachi da Pietra, dal 2005 a oggi). Ha collaborato con Jason Molina, Emidio Clementi, Riccardo Gamondi, Ivan A. Rossi, Manuel Agnelli, Xabier Iriondo e Uochi Toki.
Il suo ultimo album da solista, Carne cruda a colazione, è del 2019.
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Carne cruda a colazione ha rappresentato per me la colonna sonora dell’anno 2019. Ѐ un disco sicuramente complesso, arduo da concepire: le varie tracce scorrono come capitoli di un libro, ognuna capace di catturare episodi di vita, emozioni, paesaggi urbani e ricordi. La tua discografia è ciò che si dice “letteratura rock”. Come ti approcci alla scrittura di una canzone e quali sono i tuoi modelli autoriali di riferimento?
Una canzone è un piccolo mondo con dentro degli oggetti e qualcuno che fa cose. In quest’epoca logorroica di parolai e interminabili apologie di sé stessi, per me vale ancora raccontare una storia, o evocarla, farla immaginare. I miei modelli sono tantissimi, da tutti i tempi, da tutte le arti, narratori e scultori della lingua o delle immagini. Mi insegnano precisione, sintesi, visione. Per quel che vale. Per me vale.
Amo la traccia I melliflui: una superba prova di poesia, dove cerchi di restituire dignità al biasimato maschio alfa. Sembra che tu stia ricordando all’ascoltatore che suddetta tipologia di individuo esiste e che proprio per questo motivo non andrebbe ignorata. Che significato ha per te questa canzone, a quale pezzo del tuo ultimo disco ti senti particolarmente legato?
Non dico mai quel che si dovrebbe o non dovrebbe fare, non sono quel genere di cantautore. Non dico che il maschio alfa non andrebbe ignorato. Dico solo che esiste e se ne sta conscio in disparte, pronto per la prossima volta che serve un maschio senza cuoricini e ammiccamenti. Il soggetto ha anche un lato un po’ patetico, dal momento che si sente un guerriero ma non sa aggiustare un tubo. Sono molto dentro a questo album, come ad ogni cosa che scrivo, ma uno dei pezzi a cui sono più legato è senza dubbio Cabrio: una ballata acustica scritta in macchina che mi fotografa mentre faccio i cinquanta.
Ho avuto il piacere di assistere al tuo spettacolo L’arte del Selfie nel Medioevo: una rilettura in chiave moderna di Dante, tra l’altro molto apprezzata anche da Manuel Agnelli, che ti ha proposto di esibirti due volte al Germi, il suo locale di Milano. Perché è ancora così importante la Divina Commedia, veicolo allegorico della salvezza e della dannazione umana?
Manuel e tutto lo staff di Germi hanno accolto la mia proposta a scatola chiusa, va ricordato per dare la misura della mia gratitudine e anche di quanto lo spettacolo spacca, ovviamente. È ancora importante e lo sarà sempre, perché veicola in realtà molto più di umano che non di divino. Questo è solo uno dei punti che per assuefazione, impreparazione o noia passano inosservati. Inferno, Purgatorio e Paradiso sono la cornice per la prima rappresentazione realistica del mondo nella storia della cultura occidentale. Ho detto pizza e fichi? Una visione dell’umanità assolutamente inedita per il suo tempo. Va detto che l’aggettivo “divina” non è dantesco, glielo hanno appioppato i posteri, per lui era la Commedia e basta. Comincia tragicamente e finisce da Dio. Certo, parla di un viaggio immaginario oltremondano e l’autore vive nel Medioevo cristiano quindi ha una testa medievale fondata su certezze medievali. Sfrutta un genere abbastanza diffuso per farne un colossal del tutto inedito, il primo road movie, il primo pulp fiction, il primo instant book, la prima autobiografia, il primo romanzo di formazione: il protagonista del poema è sé stesso. Altri precedenti? No. Nemmeno Gesù Cristo osò tanto, nemmeno Dio scrisse in prima persona. Solo Sant’Agostino, ma in quanto santo. Dante non è né un santo né un eroe, è solo un uomo, un tizio che passava di lì. Senza una prospettiva storica che sappia inquadrarti il contesto e il linguaggio, queste genialità non puoi coglierle. Non dopo sette secoli di stereotipi e quasi duecento anni di scuola dell’obbligo.
Ricordo che mi raccontasti un aneddoto molto divertente riguardo un concerto dei Bachi da Pietra tenuto in Cina: la opening act suonò per quasi due ore prima di voi. Cosa ti è rimasto impresso di quel soggiorno nel paese più popoloso del mondo?
Sicuramente un senso del tempo diverso dal nostro e una capacità di coesione collettiva impensabile per la nostra cultura micro-campanilistica e anarcoide. Immagina un locale con centinaia di sedie in platea che alla fine del concerto iniziale vengono sgombrate e risistemate lungo le pareti dal pubblico stesso, per lasciare spazio al rock’n’roll. Ognuno era responsabile della propria sedia. Circa seicento persone nel locale e in tre minuti non c’era una sola sedia lasciata fuori posto. In Europa non è nemmeno immaginabile, figurati in Italia! Il backstage era grande come un hangar, ma senza un cesso. All’occorrenza dovevi uscire e andare ai bagni pubblici, molto più puliti di quanto ti immagineresti. Diluviava, ma era disponibile un ombrello “pubblico” che nessuno s’è fottuto. Mi colpì la dimensione abnorme dei condomini periferici che spuntano come funghi uno al mese, immediatamente stipati di gente giovane, in una città che non avevo mai sentito nominare e contava dieci milioni di abitanti, costruita da zero in quarant’anni. Nei giovani c’è una gran voglia di musica e non distinguono troppo tra Italia, Germania, USA… Siamo occidente. Come spesso accade quando cambi continente, ti accorgi che in molti l’Italia non sanno nemmeno dove sia di preciso. Vedendo la Cina capisci quanto siamo minuscoli sul piano numerico ed economico e che la nostra ignoranza di tutto ciò che ci rende affascinanti ai loro occhi ci renderà prede facili e appetibili. Siamo pochi, lenti, divisi, deboli e pieni di tesori. Se fossimo anche politicamente isolati saremmo davvero perfetti.
Seguo il tuo progetto Bachi da Pietra da molti anni: un duo elettrico potentissimo, dal sound che mi piace definire primordiale, ritmica serrata, testi al vetriolo e riff portentosi. A quando il vostro prossimo disco?
Spero entro il 2020, stiamo registrando i pezzi nuovi proprio in questi giorni, non vediamo l’ora di tornare. Cinque anni di pausa ci hanno messo una gran voglia.
Hai collaborato con tanti artisti della scena alternativa/indie, tra cui Massimo Volume e Afterhours. Sei un vero e proprio animale da concerto. Quali consigli ti sentiresti di dare alle nuove leve? C’è qualche musicista italiano di ultima generazione che ascolti volentieri?
L’ultimo che potrebbe dar consigli sono io, ma il consiglio è non farlo. A meno che non ti esca come un razzo dallo stomaco ogni giorno. Allora credici a tuo rischio e pericolo e metti in conto di durare decenni prima di essere preso sul serio. Oppure fai il botto, sei di moda, ma le mode vanno e vengono ogni cinque anni circa. In ogni caso, massimo rispetto per chi ci prova in qualsiasi modo e a tutti buona fortuna. Vi ascolto volentieri.
Intervista a cura di Roberto Addeo
Giovanni Succi, Carne cruda a colazione, CD, La Tempesta – Dischi Soviet Studio, 2019.