Esordisce nella narrativa con Il mondo finirà di notte, pubblicato da Nutrimenti, Umberto Sebastiano, giornalista, scrittore di due libri per bambini Tilda e la luna (Gallucci Lilliput 2021) e Tilda e le parole magiche (Gallucci Lilliput 2022), autore per la TV di programmi come Target (Canale 5), Tempi Moderni (Italia 1), L’Eredita (Rai Uno). Anni’80. Friuli-Venezia Giulia, Pordenone. E un movimento culturale, oltre che musicale, inedito e alternativo: il Great Complotto, complice di una storia d’amore tra due adolescenti. Dai tetti ai sotterranei, dall’innocenza alla perversione, dal bigottismo alla sincerità, dalla libertà al divieto più ottuso e lacerante, dall’amore all’odio, dalla vita alla morte. Attira l’attenzione quel desiderio che consuma, considerato spesso adolescenziale, ma che si rivela energia che porta in scena, in una città di dimensioni “ridotte”, eventi inaspettati come una città fumetto, in cui ogni fantasia fosse possibile. Umberto Sebastiano firma un esordio che è altresì il ritratto di una generazione e di periodo musicale di un’attualità spiazzante, come se il tempo si fosse “arrestato”, come se il presente fosse l’unico tempo possibile.
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La strada di fronte all’entrata della Casa del Popolo è piena di gente. Alex inclina leggermente il motorino per far scendere Kyara, poi lo parcheggia
accanto alla Lambretta di Ernest. Quella sera Kyara è particolarmente bella. E Alex si chiede se dipenda dal trucco, oppure dal fatto che in lei convivono una fragilità disarmante e una forza di carattere che non si piega a nulla. Lei non si accorge dei suoi pensieri, si sistema la minigonna nera di similpelle, la canottiera a rete sopra il reggiseno, poi ficca le dita in una smagliatura delle calze e l’allarga un po’. Lui si è messo il completo color blu aviatore, con la giacca a tre bottoni e la camicia scura chiusa fino al collo. Non potrebbero essere peggio assortiti, eppure sono fatti l’uno per l’altra.
“Che succede? Perché siete tutti fuori?”, chiede Alex a un gruppetto di minikids.
“Non si può ancora entrare”, risponde uno. E un altro: “Davide, il cantante dei Gigolò Look, sta facendo un disegno sulla porta…”.
Kyara avvista Nina che parla con una ragazza: è una che frequenta la loro scuola, però è più grande, si chiama Sabrina o qualcosa del genere, stanno ridendo e fumano. Pensa di andarle a salutare, o perlomeno di farsi vedere, ma Alex le afferra la mano. Si fanno largo. A pochi passi dall’entrata ci sono Ado, Ernest, i Mess, i Fhedolts al completo, compreso il cantante con le stampelle e la gamba ingessata. “Alex, vai a dormire che domani avete il concerto”, ride Ado. Guscio sta bevendo una birra. Per salutarlo se ne versa un po’ addosso.
Il vano della porta è occupato da un lenzuolo bianco, teso, inchiodato agli stipiti. E davanti c’è Davide con un pennello in mano. Ha l’aria soddisfatta, si allontana affinché tutti possano vedere. A quel punto i toni si abbassano, pare che si imponga il silenzio e invece fioccano i commenti da bar: “Sfondiamola!”, urla qualcuno dalle retrovie. Sul lenzuolo c’è il disegno di una grande vagina, con tratti che ricordano i fumetti erotici, ma colori più vividi, più crudi. Poi succede tutto in un attimo: spunta fuori un coltello, di quelli grossi, da macellaio. Davide lo impugna e colpisce l’immagine più o meno nel punto dove si trova la clitoride, poi taglia verso il basso, lacera quel pezzo di tela e apre un pertugio nel quale tutti si riversano come cani feroci. Spinti dalla folla, anche Alex e Kyara oltrepassano la soglia. Decine, centinaia di scarpe calpestano le assi sconnesse, nodose del pavimento. Nella penombra spicca il color zafferano dei muri. Sulla parete opposta all’ingresso c’è una fotografia di Enrico Berlinguer: appoggia il mento sul palmo della mano sinistra, sorride. Negli angoli del salone qualcuno ha alzato piramidi di casse acustiche nere. Una luce bassa illumina la danza della polvere davanti ai woofer. L’inizio ipnotico di Vienna degli Ultravox avvolge la folla. La base ritmica lenta, essenziale, sembra scandire il passaggio fra il giorno e la notte. Alex e Kyara si fermano, stretti l’uno all’altra in mezzo alla sala, poi prendono a girare, facendo minimi movimenti intorno al loro asse, continuando a guardarsi attorno. La voce calda di Midge Ure accoglie il branco e amplifica l’attesa: tutti sanno che è solo un’introduzione al rito e che fra pochi istanti i ritmi si faranno più serrati e assordanti. E si potrà ballare, pogare, strusciare il cazzo sul culo di ragazze che faranno finta di niente, ridere fino a sentire dolore, ubriacarsi senza fingere di essere altrove. Perché non c’è al mondo un posto più figo di Pordenone. Perché Pordenone può essere Londra, ma Londra non potrà mai essere Pordenone. E questo pensiero folle dà alla testa e inebria. Dopo un minuto e venti secondi esatti, gli Ultravox lasciano il posto ai Simple Minds di I Travel. E la festa comincia. Si formano i soliti gruppetti: le ragazze stanno vicine, ingannano i predatori formando un corpo multiforme, dai tratti indistinti, privo di carica sessuale; i mods si radunano attorno a Ernest e Guscio; gli intellettuali situazionisti, guidati da Ado, si piazzano accanto al tavolo del dj e rivolgono sguardi bonari agli adolescenti in calore; i minikids sono ovunque, si prendono l’onere di intrecciare lo sfondo, spruzzano succhi ormonali, giocano con gli istinti più bassi. Poi ci sono i tanti desiderosi di appartenere, il contorno che si fa sostanza, che alimenta la megalomania dei pochi eletti.
Syd mette sul piatto un disco dei Killing Joke, avvicina la puntina al solco di The Wait e il salone viene invaso dal rumore di chitarre distorte e ritmiche tribali. Alcuni punk iniziano a pogare, a spingersi: Alex li guarda con un misto di commiserazione e disprezzo. Kyara se ne accorge e lo lascia lì, va a prendere da bere. Alex alza gli occhi e poi si avvicina a Ernest.
“Ti passiamo a prendere alle nove”, gli dice lui. Guscio annuisce e gli passa un bicchiere di Cuba libre. “Non ti portare a Rimini la tipa”, continua l’amico, “ci servi lucido”. Alex fa un mezzo sorriso, non raccoglie la provocazione, butta giù il liquido scuro che infiamma l’esofago, perlustra con lo sguardo il salone per trovare Kyara: sta parlando con Nina. Sono distanti almeno venti metri eppure lei sente il suo sguardo e si volta. In quella linea immaginaria che collega i loro occhi, si scambiano particelle, molecole: lui diventa lei e lei diventa lui. È una magia che appesantisce il cuore. E mentre Alex se ne accorge, inizia I Don’t Mind dei Buzzcocks e Nina afferra Kyara e la trascina in mezzo alla sala a ballare. Le due ragazze saltano con le braccia alzate e il battito cardiaco di Alex si sincronizza con i colpi degli anfibi di Kyara sulle vecchie assi di legno. La vita è una canzone in quattro quarti che dura esattamente due minuti e diciannove secondi. E fuori da quella stanza ci sono galassie che viaggiano a una velocità impossibile da concepire.