Mentre si lasciava dondolare dall’eco del suo cervellino scalzo, pensando alle stelle e ai segreti del cosmo, venne distratto dal suono di una moneta dentro il cappello e dal tacco dieci di una generosa signora a cui, un tempo, avrebbe guardato il culo. Ora faceva troppa fatica a girare la testa: un torcicollo sadicamente monotono lo costringeva a muoversi con cautela.
Maledetto marciapiedi! E… maledetto anche il sindaco che aveva chiuso i sottopassi per “la tutela e il decoro”.
Dormire per strada, quel rigido inverno, era una impresa da scalatore, da alpinista puro. Infatti, tanto più l’ordine pubblico migliorava, tanto più il disordine privato del suo corpo peggiorava.
Aveva trascorso venti anni da impiegato e poi altri venti da barbone anzi, da cane! Per via del suo nome randagio e del destino intrappolato in quella crasi che fondeva in un unico suono l’eredità onomastica dei suoi nonni: nonno Caterino e nonno Antonio.
Cantonio decise che con quella moneta (l’unica elemosina della mattina) avrebbe acceso una candela: per scaldarsi in chiesa, con la scusa di una preghiera e non certo per chiedere scusa pregando. Anche perché, da quei “peccaminosi” fatti, era trascorso molto tempo, e quelle colpe, nei suoi ricordi, erano ormai solo nefaste ingenuità.
Chiese al pusher di fianco di sorvegliare il suo giaciglio almeno per un quarto d’ora. Il tipo lo rassicurò: “Zio, ma chi cazzo vuoi che ti rubi ’sto sacco a pelo che puzza di merda?”
Una volta entrato nella cattedrale, nell’abbazia o in quel che fosse, rivide la donna elegante, quella coi tacchi, rovesciare un liquido dentro l’acquasantiera di marmo, vicino al confessionale. Poche gocce, contate nel silenzio: dodici per la precisione, come gli apostoli o le stelle della costellazione di Eridano.
Poco dopo entrò una seconda donna, un’anziana malandata… Dopo due passi incerti, guardò l’altare, si inumidì la punta delle dita nell’acquasantiera e si genuflesse per come poteva.
Nonostante i buchi nello stomaco, quello che accadde sotto i suoi occhi non fu una allucinazione causata dalla fame. Cantonio vide la signora, quella vecchia e malconcia, ringiovanire a ogni passo, camminare verso l’altare e svecchiare, rinvigorirsi, rifiorire. Dopo soli tre passi, aveva perso almeno trent’anni, al quarto era una splendida quarantenne, al quinto e ancora al sesto non aveva più di vent’anni!
Com’era possibile? Quale prodigio? Un miracolo?
Cantonio non si fece altre domande e attese nascosto. Aspettò che la chiesa tornasse vuota; restò immobile per qualche minuto, mimetizzandosi sotto i dipinti dell’Assunzione e quello della Santissima Trinità, avvolto nella sua nuova coperta: un plaid sintetico di DrangonBall Z che qualcuno gli aveva lasciato nottetempo. Una trapunta in limited edition facente parte di un “Bedding Set Duvet with Pillowcases single size bedroom”, diceva l’etichetta.
Rimasto solo, intinse la mano dentro l’acquasantiera. Lo fece due volte, perché, per errore, la prima volta, aveva immerso la sinistra, non ricordandosi che il segno della croce si facesse con la destra, toccandosi prima la fronte e il petto e la spalla… Da quale spalla si partiva? Optò per la destra: prima la destra e infine la sinistra.
La genuflessione, certo la genuflessione, e camminare, appunto: cinque o sei passi…
Non riuscì a contare i passi. Proprio non ci riuscì!
Non ebbe il tempo di muovere le gambe verso l’altare, di far andare i piedi, tuttavia percepiva il movimento: della caudale, delle pinne, della coda…
Cantonio si trovò, per miracolo o sciagura, sommerso dall’acqua, dentro l’acqua: torbida e poco santa, fangosa e stranamente “respirabile”.
Essere un carassio dorato aveva i suoi vantaggi: flessibilità, agilità, cibo in abbondanza, tempo per pensare e sonni sospesi tra i flutti notturni.
Alcuni sostengono che i pesci siano pigri e abbiano una memoria limitata a pochi secondi, al contrario Cantonio aveva ritrovato una remota vitalità e si ricordava persino ogni dettaglio del suo passato.
Quella volta che uscì dall’ufficio… era novembre, era il 1998, era felice della propria mediocrità e deciso ad assecondare un suo desiderio.
Dopo ore trascorse a contare i secondi del giorno, contabilizzando, tra ammortanti ammortamenti, colonne in dare e in avere poco, stati patrimoniali e stati d’animo, un raggio di sole, senza rimpianti autunnali, lo istigò ad amare.
Fu come avere una primavera nell’animo, quella bellezza pura e senza vanità: insolente come le virtù e feroce come i vizi.
Fu una puttana, fu la prima volta, fu in un appartamento e fu a pagamento.
Lui la amò, lei lo accontentò.
Dopo l’orgasmo, Cantonio girò gli occhi estasiati verso il soffitto, fissando un lampadario Ikea che, avesse avuto un nome comprensibile, si sarebbe chiamato: sorriso!
“Quando si fa l’amore con verità, non bisogna dolersi di averlo fatto!” pensò, addormentandosi così.
Dopo il lavoro, Fiorela girò gli occhi stanchi verso il soffitto, fissando l’intonaco e una crepa profonda, che le sembrò il torrente Buda: prima del Danubio, prima di Budapest, prima della foce.
“Quando l’amore fugge, allora è solo un fiume!” pensò, morendo così.
Non furono i reati a condannare Cantonio (induzione alla prostituzione), nemmeno le circostanze (a letto con un cadavere), tantomeno la vergogna (i titoli dei giornali).
Come per Fiorela, la sorte scelse per lui un’unica direzione: ai margini, oltre la propria scandalosa colpa, condannato dalla smania del giusto di un mondo manchevole e tuttavia perbene.
Erano trascorsi ventidue anni da quel giorno. E ora, Cantonio si sentiva come un piccolo pesce: risolto dentro una palla di vetro o dentro lo stagno dei sogni.
Indugiando per lei: la Luce dei suoi desideri impermeabili.
Accudendo Fiorela, sirena ancora viva nel crepuscolo dei suoi ricordi.
E l’acqua saliva verso il cielo notturno, e le stelle si raccontavano senza distanza né telescopi.
E quando la Luce affogò, il pesce ingannato e rosso, vide la luna sott’acqua.
E quella Luce gli bastò, ogni notte e ogni coscienza, per oggi sino a domani.
Il primo pesce sulla luna?
Sarà un viaggio pazzesco.
Angelo Orazio Pregoni