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UN PIRATA PICCOLO PICCOLO

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C’è un pirata e c’è il Calvo. Il primo è un impiegato delle poste oppresso dal mondo, che si rifugia in una sorta di individualismo qualunquista, mosso solo dalle ondate del rancore. Il secondo è il suo membro virile, battezzato Fertàs come nell’antica letteratura erotica araba. Hassinu, il pirata piccolo piccolo del romanzo di Amara Lakhous, si fida solo di questo compagno, con il quale divide le notti davanti alla televisione satellitare e i fine settimana al bordello. Un pirata piccolo piccolo è il libro d’esordio dello scrittore algerino: scritto nel ’93, all’inizio del decennio di terrore islamista, mai pubblicato in patria, esce per e/o dopo un’edizione bilingue, semiprivata e non distribuita, fatta a Roma qualche anno fa. Mischia l’alto e il basso, la lingua del Corano e l’arabo di Algeri, le parolacce e la preghiera del venerdì, le prostitute e la Mecca (la tenutaria d’un postribolo, per esempio, è considerata una santa persona perché ha compiuto il pellegrinaggio rituale nella culla dell’Islam). Racconta con la tecnica del monologo interiore la società algerina, chiusa, corrotta, senza speranze: ma anche e soprattutto la miccia che ha innescato, vent’anni dopo, le rivolte arabe. Riesce a essere nello stesso tempo atroce ed esilarante.

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