Spesso la scrittura di genere è vista con una certa diffidenza dai lettori mainstream. Fino a quando uno scrittore di rango non si prende la briga di affrontare un determinato genere e “sdoganarlo” anche per il pubblico più diffidente e più “snob”. È il caso di “Zone One” di Colson Whitehead: è un romanzo zombie, ed è anche un gran bel libro. In parte intrattenimento di classe, in parte critica sovversiva agli Stati Uniti dopo l’11 settembre, è un romanzo scuro e divertente, a volte brutale e, come molti romanzi di zombie, soffuso di un profondo senso di perdita e dolore. Il libro inizia un anno dopo una ancora non identificata piaga che ha trasformato gran parte della popolazione in rapaci macchine senza cervello programmate solo per uccidere. La società civile è stata quasi distrutta a seguito dell’attacco iniziale, ma ora i sopravvissuti stanno combattendoper salvarsi. Sotto la guida di un governo provvisorio a Buffalo, si organizza la resistenza e si cerca di ristabilire l’ordine antico.
(James Bradley, The Sidney Morning Herald, 27 gennaio 2012)