Elizabeth McKenzie, scrittrice californiana, è una delle più dotate autrici fra i nuovi autori americani. Con lei Satisfiction apre la rubrica Letters from America – un viaggio nelle letteratura americana di oggi, attraverso interviste, racconti inediti, conversazioni con romanzieri e poeti, video. I lavori di Elizabeth sono stati pubblicati su numerose riviste, fra cui l’Atlantic Monthly, sulle cui pagine è comparso il lungo racconto Someone I’d like you to meet di cui qui presentiamo la prima parte. Dopo aver frequentato il corso di scrittura di Stanford, Elizabeth ha pubblicato con grande successo il romanzo MacGregor Tells The World e la raccolta di racconti Stop That Girl. In Italia è già comparso un suo racconto come postfazione al libro di May Alcott Un sogno di Natale e come si avverò.
Nicola Manuppelli
UNA PERSONA CHE MI PIACEREBBE FARVI CONOSCERE
Veblen Mackay-Sim si era fidanzata con Paul Vreeland, ricercatore associato della facoltà di neuroscienze, ed era finalmente arrivato il momento di portarlo a casa per farlo conoscere alla famiglia. Un classico rito di passaggio, se non considerava il fatto che le stranezze della personalità della madre le creavano un certo timore. Spesso si sforzava di ricordare che gli esseri umani erano pieni di difetti, e nessuna famiglia era impeccabile, e non importava quello che sarebbe successo quel giorno, perché faceva tutto parte del ricco arazzo della vita. La madre avrebbe sicuramente superato quella prova. E anche Paul, la cui routine prevedeva di avere a che fare con cadaveri di persone ferite al cervello, ce l’avrebbe sicuramente fatta.
La coppia partì un sabato mattina, costeggiando la Bay Area paralizzata dal traffico, passando le torri simili a minareti delle raffinerie di petrolio a Martinez e la flotta, ormai in naftalina, di navi da guerra nello stretto di Carquinez, e discutendo del proprio futuro. E a un certo punto Veblen si accorse, mentre guidavano tra le montagne diretti a Napa Valley, che stava avendo problemi di respirazione.
“Paul”.
Lui le toccò il braccio. “Stai tremando. C’è qualcosa che non va?”
“E se non ti piace?” disse.
“Ha tre teste?”
“No.”
“È obesa? È una di quelle persone che riesce a malapena a muoversi?”
“No.” Scosse la testa.
“E allora?
“È…complicata. Lei, a volte…”
Ma riassumere il catalogo degli episodi del passato sarebbe stato faticoso.
“Avanti, non ti preoccupare”
“A volte, lei…lei…”
“Forza!”
“Ogni volta che ne ha la possibilità, ne approfitta per dire a qualcuno che è un imbecille pomposo e pieno di sé”.
Paul la guardò sorpreso. “Vuoi dire che lo fa anche con gli estranei?”
Annuì. “Di solito sì”.
“E capita anche con gli amici?”
“Dipende da cosa intendi per amici”.
Le prese la mano. “Stai dicendo che mi darà dell’imbecille pomposo?”
“No,” disse Veblen “ma se lo fa …”
“In qualche modo sono d’accordo con lei,” disse Paul. “Gli imbecilli pomposi sono dappertutto.
Finalmente raggiunsero il lungo vialetto della casa d’infanzia di Veblen, su un appezzamento a forma di martello che la madre aveva comprato anni prima, un’area così rocciosa e arida che non aveva mai guadagnato di valore durante il boom del mercato terriero. La casa si trovava sulla testa del martello, e il vialetto occupava quello che era il manico, affiancato da collinette di cespugli di more grosse come elefanti, dove Veblen era solita raccogliere le bacche con dei secchielli per farne torte e crostate e marmellate, che poi vendeva, mettendosi con un tavolo per strada, per aiutare la madre a sbarcare il lunario. In autunno indossava dei guanti di pelle che le arrivavano fino ai gomiti, per tagliare i rovi che sbucavano sul vialetto, facendo venire fuori serpenti e lucertole e topi di campagna. In primavera le viti ricominciavano a crescere, il verde dei rami aumentava sensibilmente di giorno in giorno, e i rami spuntavano dritti come fusi fino a quando la forza di gravità non li costringeva a inarcarsi. Crescevano in superficie così come le radici crescono sottoterra, in tutte le direzioni, sovrapponendosi, intrecciandosi. Le more avevano dato un’impronta alla vita di Veblen durante quelle giornate – le loro minacciate invasioni, i loro raccolti abbondanti. Tutte le vecchie attività domestiche le venivano in mente mentre percorrevano con l’auto il vialetto, al suono familiare dello scricchiolio delle gomme sulla ghiaia.
“Non avrei mai immaginato che fossi cresciuta in un posto come questo,” disse Paul.
“Davvero?”
“Davvero.”
Non c’era tempo per pensare a questo ora, perchè Veblen vide la madre uscire fuori di casa e avanzare verso di loro con addosso il suo migliore tailleur, color acqua e di seta tailandese, sotto il quale balzavano agli occhi i nuovissimi (dato che avevano 25 anni, ma erano stati conservati nella scatola originale per le occasioni speciali) sandali bianchi della Dr Schooll. Li portava con dei calzini. Il marito, Linus, uscì tutto pettinato e stirato, con una camicia azzurra oxford. Sembravano rilassati, normali, belli, quasi energici.
Come era compassata e cerimoniosa la postura della madre di Veblen, e come era alta! Aveva quasi sei centimetri più della figlia e con gli anni aveva anche acquisito una certa massa corporea.
“Devi essere il dottor Paul Vreeland,” disse la madre, con una dizione così formale che ormai la si sarebbe potuta sentire solo nei vecchi film. “Melanine Copper.”
“Linus Duffy,” disse Linus, prendendole cerimoniosamente la mano.
“Abbiamo preparato un bel pranzo leggero da mangiare all’aperto, Paul, se sei così gentile da aiutare Linus a spostare qui sotto il sole il tavolo, ci sediamo subito.”
Gli uomini si diressero sul retro casa, mentre le donne entravano.
Veblen sorrise. “Mamma, hai un bell’aspetto”
“Faccio assolutamente pena”, disse la madre, non appena gli uomini smisero di essere a portata d’orecchio. “Le mie spalle sono deformate dalle spalline del reggiseno e ho il collo già a pezzi. Non indosserò mai più un reggiseno. Disprezzo il mio seno. Sono macigni. Che cosa è mai venuto in mente a Dio di fare questo alle donne! Non appena ve ne andate mi stenderò con la schiena sopra il ghiaccio.”
“Mamma, non c’è bisogno che indossi un reggiseno per noi. Toglitelo. Sii te stessa.”
“Nessun uomo vuole vedere una donna con i seni che le pendono fino all’ombelico”.
“Abbassati le spalline, allora.”
“Ci proverò. Andiamo dentro.”
“Adoro il tuo vestito.”
“Volevo indossarlo al matrimonio, ma non avevo nient’altro da mettere oggi. Ora dovrò trovare qualcos’altro, non credi?”
“Puoi indossarlo un’altra volta.”
“Paul ha un bell’aspetto,” disse la madre. “Ma non ho ancora sentito la chimica.”
“Siamo arrivati da due minuti.”
“Spero che non sia innamorato di se stesso,” disse Melanie. “Vieni in cucina, ho bisogno del tuo aiuto”.
La cucina era una costante – le piastrelle color corda, i canestri col manico a testa di pollo, l’apriscatole a manovella avvitato sopra il lavandino, gli ingranaggi e la calamita sempre misteriosamente unti, ma tutto il resto abbastanza pulito, e Veblen era orgogliosa delle opere d’arte della madre sulle pareti intorno al tavolo – opere astratte fatto con pastelli ad olio, vedute aeree di formazioni nel terreno e corsi d’acqua e rocce, eseguite con mano sicura e sognante Ricordava il profumo sempre presente di olio di lino, e quel leggero odore di melassa che filtrava dagli armadi.
Sua madre tolse una casseruola dal forno, afferrandola coi guanti appositi. “Questa è una deliziosa ricetta che ho scoperto di recente, con cuori di carciofo e crosta di pane e solo un po’ di formaggio asiago e burro,” disse. “Davvero speciale.”
“Fantastico”. Veblen aprì una testa di lattuga rossa. La parte che preferiva era il minuscolo centro di foglie più piccole. Lo tolse in fretta, prima che la madre potesse vederla, e lo mangiò.
“Prima che mi dimentichi, ho un grumo strano sul retro del collo. Vuoi darci un occhio, per favore? Linus non capisce niente di questo genere di cose.”
“Che ne dici se lo facciamo dopo, quando siamo fuori dalla cucina?”
“Ora!” disse la madre.
Veblen ripose la lattuga sul bancone, e separò i capelli della madre con le mani bagnate. Vide un piccolo gonfiore delle dimensioni di un centesimo. “Sì, si ha un piccolo bernoccolino qui, fa prurito?”
“No. È rosso?”
“Rosa”.
“Si è indurito?”
“Che cosa?”
“È duro, ha margini ben definiti?” domandò la madre.
Veblen diede uno sguardo alla piccola protuberanza. “Dimmelo tu.”
“La consistenza è quella di una buccia d’arancia?”
“Che cosa?” chiese Veblen, esasperata.
“La consistenza della buccia d’arancia.”
Veblen strizzò gli occhi di nuovo. “Direi che è più simile alla buccia di una mela, o forse una pera. Forse Paul può darci un occhio,” disse, sospirando.
“Basta che non mi parli con arroganza,” disse la madre.
Veblen finì di preparare l’insalata, e la portò fuori tenendola tra le braccia, come una vittima. Linus aveva offerto a Paul una birra.
“Birra del posto, una di quelle cose alla moda,” disse Linus.
“Avverto il gusto del limone,” disse Paul, annuendo.
“Facciamo il vino di more nelle annate buone.”
“Com’è?”
“Dolce, perfetto come vino da dessert. Ce ne avanzano sempre una trentina di bottiglie che diamo agli amici. Te ne darò una da portare a casa.”
“Perfetto,” disse Paul. “Amo il vino da dessert, soprattutto con un po’ di buon gruviera.”
“A me piace con la torta.”
“Il pranzo è servito,” chiamò Melanie, portando fuori la casseruola e mettendola su una tovaglietta di tessuto che stava sul tavolo. “Paul, ti voglio qui. Veblen, a capo tavola. Linus, perché non apri quella bottiglia speciale di champagne?”
“Giusto,” disse Linus, tornando in cucina.
“No, qui fuori!” urlò Melanie. “Guardare il tappo di sughero che vola mi mette allegria.”
Linus tornò indietro, strascicando i passi, con la bottiglia in mano, togliendo il gancio attorno al sughero.
“Non puntarla contro di noi!” gridò Melanie.
“Non è ancora pronta.”
“La stai puntando contro di noi!”
Linus si girò verso la casa.
“Non verso il muro! Vogliamo guardare il tappo che vola! Girati.”
Linus si voltò e cominciò a muovere il tappo.
“Aspetta, hai bisogno di un panno.”
Veblen gli porse un tovagliolo da mettere sotto il collo della bottiglia. Paul stava picchiettando con la forchetta sul tavolo. Il tappo di sughero si staccò dal collo della bottiglia e volò in alto per quasi due metri.
“Bravo!” gridò Melanie. “Ora facciamo un brindisi al vostro fidanzamento. Possiate passare insieme molti meravigliosi anni!”
Fu fatto un brindisi e i bicchieri vennero svuotati. Allora Paul sorrise diretto verso l’altra parte del tavolo. Se fosse risultato affabile quel giorno, lei lo avrebbe amato per sempre.
“Non so se Veb ve lo ha detto,” disse Paul “ma ci stiamo divertendo molto a guardare le case. A questo proposito: sono cresciuto in una specie di comune.”
“Stai pensando di vivere in una comune?”
“No, il contrario, voglio vivere dietro un cancello, dove nessuno può passare.”
“Devi scappare dal tipo di vita in cui sei cresciuto,” disse Linus. “Ragazzi, questo lo so bene.”
“Voglio solo che sappiate che Veblen sta andando a vivere in un ambiente confortevole,” disse Paul.
“Beh,” disse Melanie “Veblen, questa volta finirai per superarmi. Non so se Veblen te lo ha detto, ma sono molto interessata alle questioni mediche, essendo cresciuta con un medico in famiglia, e avendo una storia complicata io stessa. Non si può mai essere troppo preparati quando si tratta di sistema sanitario, non credi?”
“Proprio così. I pazienti hanno davvero bisogno di difendersi da soli in questi giorni,” disse Paul.
“Questo è un atteggiamento sano da parte di un medico.”
“So che troverete difficile crederlo, ma la maggior parte dei medici la pensano a questo modo”
La madre di Veblen servì le porzioni fumanti. “Ho ricevuto un sacco di cure condiscendenti e atroci con la mia ultima emicrania,” disse. “Mi stupisce che mascalzoni come quelli siano ancora in attività.”
“A cosa sembra sia dovuto il dolore?” chiese Paul. Veblen sentì tremarle tutte le ossa.
“Beh, quattro anni fa, subito dopo il mio vaccino antinfluenzale annuale, ho iniziato a sentire una serie di sintomi attribuiti a emicrania acefalgica o ischemia transitoria. Ovviamente, e come sapete, molti cibi e sostanze chimiche conosciute fanno precipitare la condizione.”
“Assolutamente,” disse Paul. “Benzoato di sodio, dolcificanti, cioccolato, grano…”
“Piselli, maiale, agnello, agrumi, cipolla, grano, pere, l’elenco potrebbe continuare. I miei sintomi includevano ipotermia, afasia, una sensazione di giramento di testa. Inoltre, ho avuto paralisi facciale, paralisi degli arti superiori e narcolessia. Non credo che questo si inserisca nel profilo tipico dell’emicrania.”
“Beh, non lo definirei tipico,” disse Paul, esitante
“Ora, ho imparato col tempo che una donna di mezza età con sintomi insoliti può essere facilmente etichettata come pazza, un caso psicosomatico, una malata immaginaria. Inoltre, il mio medico di recente mi ha detto che sono troppo attenta. Come posso concordare con una cosa del genere? Se non sto attenta io, chi allora?”
Veblen respirava rapidamente.
Paul la guardò e disse: “Sì, i pazienti devono essere proattivi.”
“Non posso dirti quanto sono felice di sentire un medico dire queste cose!”
“Ora, la causa potrebbe essere non biologica…” cominciò Paul.
Veblen trasalì.
“Non biologica? Psicosomatica? È questo che stai dicendo?”
“No, non in quel senso.”
“Che vuoi dire? Se l’emicrania non rientra nelle loro specialità, molti medici non si rendono conto che non è più considerata psicosomatica”.
“Mamma, mangiamo,” disse Veblen, irrigidendosi.
“Non posso parlare per ‘molti medici'”, disse Paul. “Ma sono un neurologo e” Si interruppe bruscamente per sorseggiare lo champagne, con le tempie che gli pulsavano. La mascella faceva su e giù come un trattore, e Veblen sentì una fitta allo stomaco. “Sembra che tu ne sappia più di me,” disse con tono gentile.
Perfetta risposta!
“Questo molto probabilmente è vero, il che è una storia triste di per sé. Ho questo scotoma centrale quando faccio una doccia calda o tiepida, e quando sono affaticata. Vedo una macchia, seguita da una superficie irregolare grigio opaca, e solo riposando riacquisto la vista normale. Ma se cammino in una giornata fredda, lo scotoma centrale è luminoso e non in movimento.”
“Interessante,” disse Paul.
“Oh, è un altro pezzo del puzzle!” esclamò Melanie, quasi allegramente “Due anni fa, ho trovato una zona sul petto che era ‘morta’- insensibile, senza sensibilità. Situata proprio qui.” Indico un punto nella parte superiore del seno sinistro. “Era di circa cinque centimetri per cinque. Così grande, capito? È rimasta insensibile fino a circa sei mesi fa, quando improvvisamente, ricordi Linus?, mi sono resa conto che quel punto ‘morto’ provava nuovamente delle sensazioni. C’entra qualcosa?”
“Mmm. Potrebbe essere,” disse Paul.
Con questo, Melanie ruotò sulla sedia e si sporse ad afferrare alcuni fogli di carta battuti a macchina che erano stati impilati insieme e nascosti dietro una ciotola di ceramica piena di pigne in miniatura.
“Questa è una lista completa di tutta la mia vicenda medica,” annunciò.
Paul la guardò sorpreso. “Mio Dio, hai quasi messo insieme un CV!” disse con garbato entusiasmo.
“Non c’è bisogno che mi prendi in giro,” disse Melanie, facendo sì che Veblen saltasse in piedi e corresse attraverso le porte scorrevoli in cucina, cercando di prendere respiri corti e veloci. Poteva ancora sentirli, mentre si mordeva l’avambraccio con tanta forza da lasciarci sopra i segni dei denti.
Sapeva benissimo quali erano i rischi che correva a portare Paul lì. Tornò fuori.
“No, per niente, credo che tutti dovremmo averne uno.” Paul stava esaminando la prima pagina. “Morbillo, scarlattina, febbre da zecca, appendicectomia, tonsillectomia e istoplasmosi, tutte prima dei quindici anni?”
“Esatto.”
“Mmmm”. Continuò. “Possibile esposizione a radiazioni gamma in un area soggetta a sperimentazioni?”
“Sì, è tutto ben documentato. Abbiamo intentato una causa collettiva.”
“Mmmm. Tiroidectomia per carcinoma papillare e follicolare, ablazione con I-131 – lesioni al collo, artrosi cervicale come causa della rigidità del collo…insufficienza pancreatica – come sei riuscita ad accorgerti di tutto questo?”
“Avevo i test! In quale altro modo avrei potuto saperlo, con una sfera di cristallo?”
“Intossicazione da ciguatera, con anticolinesterasi irreversibile e permanente?”
“Sì. Suppongo tu sappia di cosa si tratta?”
“Certo, anche se in tutti i miei anni in medicina, non ho ancora sentito di nessuno in queste condizioni?
“Cosa vuoi dire con questo?”
“Niente, solo che è raro. Vediamo, allora fibrillazione atriale, tetania, sindrome di Cushing, psoriasi, visione doppia, sindrome della sella vuota, iperparatiroidismo secondario, aldosteronismo primario…”
Paul smise di leggere. “Bene. Molto complicato. Molto impressionante.”
Linus sedeva completamente immobile, giungendo le mani, come se pregasse.
“Sto pensando che potresti fare un controllo della vista, ma deve essere eseguito quando lo scotoma è presente,” disse Paul.
“Ma è presente,” gridò Melanie. “Te l’ho detto, è proprio qui, proprio adesso”.
Paul aveva la voce stanca. “Sì, hai avuto una storia complessa di instabilità vasomotoria con gravi manifestazioni neurologiche, incluse paralisi e difficoltà oculari, non è vero?”
“Esattamente”
“Bene, allora, ti segno il nome di questo test, e ti suggerisco di informarti col tuo medico.”
“Capisco. Capisco alla perfezione.” Schioccò le labbra e si alzò dal tavolo con quel portamento imperioso e scontroso che a Veblen faceva venire in mente la partenza per l’Elba di Napoleone.
Veblen, Paul e Linus rimasero in silenzio, come in castigo. L’intonazione, o un’insufficienza di deferenza, o il modo in cui le labbra di Paul sembravano leggermente increspate mentre leggeva – qualcosa era andato storto. Linus strinse fra le mani il tovagliolo e lo gettò sul piatto.
“Scusatemi un momento, gente,” disse, alzandosi e seguendo la moglie,
“Oh cavoli,” disse Veblen,
Paul la guardò. “Che diavolo succede?”
Veblen lanciò uno sguardo alla casa. “Lei ha questa specie di “cosa” coi medici.”
“Che fortuna”.
“Stai andando alla grande,” sussurrò Veblen. “Davvero alla grande. Mantieni la calma. Per favore.”
Si sporse per prendergli la mano, dall’altra parte del tavolo, e gliela strinse. Aveva portato un ragazzo a casa solo una volta in precedenza, e le conseguenza erano state che la raffinatezza del ragazzo era stata incenerita in un lampo e loro avevano rotto quasi subito dopo.
“Mi hai messo in guardia, ma wow!”
Linus riapparve. “Veblen?” Con allegria innaturale e tesa, giungendo le mani, disse: “Vuoi andare a parlare tu con tua madre? Te la cavi così bene con lei.”
Veblen si scusò e si alzò dal tavolo, temendo che Paul potesse esaurirsi dopo meno di un’ora. Questa abitudine, di andare nella stanza della madre e sedersi sul bordo del letto nel bel mezzo della giornata, aveva avuto luogo fin da quando Veblen era una ragazza. Ripensò a tutte le volte che si era seduta alla destra della madre dopo aver portato una borsa dell’acqua calda o un impacco di ghiaccio o un piccolo bouquet di denti di leone e alisso.
“Siediti qui,” disse la madre, da sotto le coperte.
“Tutto bene, mamma?”
“No, io no.”
“Cosa è successo?”
“Quell’uomo è un narcisista?
Veblen contò fino a dieci, il metodo che solitamente utilizzava per calmarsi. “Ma non è un imbecille pieno di sé, vero?”
“Non mi guardava negli occhi. A malapena ti nota. Ascolta solo il suono della propria voce.” Si dimenò sotto le coperte, come se cercasse di distruggere una piccola creatura che stava sotto di lei.
Veblen deglutì, non volendo ascoltare. Accarezzò il braccio della madre da sotto la coperta e le parlò dolcemente “Mamma, sai una cosa? Era nervoso per il fatto che ti doveva incontrare, e sai perché? Perché sa quanto sei importante per me. Vuole fare una buona impressione.”
“Non ci è riuscito,” tossì la madre.
“Forse perchè è così nervoso. Vedrai quando lo conoscerai meglio.”
“Voglio che tu mi dica quanto quell’uomo dolce.”
“Si è innamorato di me la prima volta che ci siamo incontrati.”
“Questo non è difficile, Veblen. Tu sei adorabile.”
“La gente spesso non mi accetta, e Paul lo fa”.
“Come ti permetti di dire una cosa del genere, sei una bella ragazza dolce e intelligente.” Cominciò a singhiozzare. “Dove ho sbagliato? Che errore ho fatto?”
“Mamma! Smettila. Per favore!” Continuava ad accarezzarle il fianco, simile a quello di una balena.
“La mia bella ragazza sta dunque per sposare un moralista narcisistica?”
“Ti prego di smetterla di parlare di lui in quel modo, e di essere paziente come sei quando studi un quadro che non capisci in un primo momento, e di aspettare di conoscerlo.”
Veblen tirò su col naso per un po’. “La vita è qualcosa di più che grandi case e diamanti sgargianti.”
“Certo. Vuoi davvero che sia lui a prescriverti il test? È questo che ti turba?”
“No. Non sarebbe il modo giusto. Ma poteva proporsi, almeno.”
“Sarebbe oltrepassare la linea, non credi?”
“Nessuno oltrepassa mai la linea per me, e la mia vita è sempre stata così. Vuoi aiutarmi a tirarmi su, Veblen? La mia schiena è a pezzi.”
Veblen la tirò a sé. La madre si alzò in piedi e si diresse in bagno. Quando uscì, aveva messo su un po’ di rossetto fresco e si era risistemata i capelli.
“Sto facendo questo solo per te,” disse. “Nient’altro mi spinge a trascorrere un solo secondo in più con quell’uomo.”
“Dai, mamma. Vedrai.” Le parole erano infiocchettate dalla sua voce gentile, dall’ottimismo indefesso, dal suo lieve tocco di magia.
(traduzione di Nicola Manuppelli)