Quando mi capita di incontrare un sapiente, non uso a caso la parola, come Federico Ferrari non mi dico altro, solo che faccio il lavoro più bello possibile. Lavoro poi non è la parola, parlerei più di tigre che mi divora e mi salva. Federico scrive (e l’abbiamo impaginato in quarta, in prima di copertina l’immagine, commuove tanto è bella e sacrificata nella restituzione tipografica, è di Albarran Cabrera, Anna Cabrera e Angel Albarrán “The Mouth of Krishna #234”:
Assistiamo, ormai da diversi decenni, a uno spettacolo che non dice più nulla; ma questo non per una volontà elitaria o ascetica dell’artista che, attraverso la sua opera, tenderebbe a rinviare lo spettatore ad altro rispetto all’opera, rispetto a questo mondo, cioè, a quell’elemento che sfugge al linguaggio, che Wittgenstein ha nominato con la parola mistico; no, la tentazione del silenzio è stata fugata nell’eccesso di significato, nella riduzione dell’arte a questo mondo, nella rinuncia all’Altro e a una radicale eterologia, in cui l’altro mantiene i tratti della propria estraneità, della propria irriducibilità, della propria inafferrabilità e, in ultimo, del proprio carattere intrusivo e destabilizzante.
Ne è così sortita un’arte di intrattenimento o di riconoscimento e rafforzamento della propria identità. Un’arte che si approssima, da una parte, al parco giochi e, dall’altra, ai segnali di appartenenza di un conformismo moraleggiante, molto simile a un tentativo di lavaggio di coscienza collettivo di fronte ai problemi dell’attualità socio-politica della contemporaneità. La frequentazione dei luoghi dell’arte come forma di comunione e assoluzione per mezzo della semplice fruizione di immagini, suoni e parole. La fruizione dell’arte politica come dissoluzione definitiva dell’azione politica di trasformazione radicale del mondo.»