L’esordio di Valentina Durante è una storia in apparenza semplice nella struttura, con pochi personaggi, ai quali si aggiunge la casa, come entità. L’autrice scava nel cosmo familiare come un allucinato entomologo.
A parlare in prima persona è Leni, una bambina cresciuta con la zia Eleonora e alla quale è stato sempre nascosto cosa sia accaduto alla madre: se sia morta o l’abbia abbandonata. Leni ci racconta le severe e anomale verifiche corporee che subisce dalla zia: un’ispezione-abuso sul suo corpo che diventa simbolica, tanto più che la bambina deve inserire nella bocca una pietra.
La pietra è il simbolo della caverna cosmica, se è vero, come ci ha raccontato Mircea Eliade, che sono le pietre, nel meridione dell’India, a “fissare” l’anima sulle tombe dei morti; ed in questo romanzo la morte può colpire tutti i personaggi, senza un movente.
Le pietre sono sacre nel cristianesimo e nel paganesimo, e qui rappresentano la non comunicazione.
Eleonora addestra Leni a una vita totalmente anaffettiva, retta da un unico comandamento: non amare, mai, non amare nessuno, neanche sé stessi.
“Posso guarire le persone che amo”, dice Leni, “Qualunque sia il male, io posso curarlo: posso sanare una piccola abrasione o riassorbire un grosso ematoma, far regredire una mutazione cancerogena o riequilibrare uno stato psicotico…”; “Qualunque sia il male, la sua cura si trasforma nel mio male: io perdo l’affetto della persona che amo”.
La Durante gode di una lingua consapevole, di orientamento scientifico che descrive con mirabile precisione i legami tra la zia Eleonora, Leni, e il nuovo arrivato Daniele, suo figlio.
In quale maniera Leni può amare il figlio se le è stato impartito il comandamento di non amare nessuno? È una delle prime domande che si pone il lettore, alla nascita del bambino. Diamo per scontato che l’amore segua delle linee guida ragionevoli, e poco quanto di orrendo e indicibile nasconda questo sentimento alieno alle convenzioni sociali.
Imperanti.
L’intero romanzo è radiale di frasi filosoficamente misteriose: “L’immortalità somiglia, in effetti, a una specie di gioco”.
Frasi che spezzano dialoghi verosimili e ci fanno credere che Eleonora sia una creatura ultraterrena, quando vive solo nella patologica alterazione psichica di controllare Leni e il nipotino Daniele, da sempre frustrata per non poter elargire cure e magiche condanne.
Eleonora è una pasticcera bellissima, Leni ci racconta dei suoi rossetti, del colore dei suoi smalti, delle sue mises, ma soprattutto del giardino-ragno che cinge la casa.
L’autrice potrebbe essersi ispirata alla scultura del ragno madre di Louise Borgeois, e se fosse è riuscita.
L’ambientazione produce una tensione insoffribile in chi legge, si ha il desiderio di lasciare la pagina, tornare indietro, fermarsi. E poi ricominciare.
Montebelluna , in Veneto, è la cittadina in cui vive la Durante, ed è anche una cornice appena e, volutamente, poco abbozzata.
La proibizione è un romanzo di stregoneria “surreale” alla quale si può credere con fiducia e senza pregiudizi perché questa finzione può essere realtà e lealtà verso le lettrici e i lettori.
Intenzionati ad esplorare, cosa sia, una nera famiglia.