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Valerio Magrelli inedito. La poesia come un campo di macerie

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Tre poesie concesse in esclusiva Satisfiction da Valerio Magrelli, tra i maggiori poeti contemporanei.

Valerio Magrelli è nato a Roma nel 1957. Laureato in Filosofia all’Università di Roma, insegna Lingua e Letteratura Francese all’Università di Pisa. Dopo aver diretto per alcuni anni la “Collana di poesia” Guanda, ha diretto per le edizioni Einaudi la serie trilingue della “Collana Scrittori tradotti da scrittori”. Ha pubblicato tre raccolte di versi: Ora serrata retinae (Feltrinelli, 1980); Nature e Venature (Mondadori, 1987); Esercizi di tipologia (Mondadori, 1992), riunite in un unico volume, dal titolo Poesie e altre poesie (Einaudi, 1996). Ha tradotto dal francese Valéry, Mallarmé, Debussy, Verlaine.

Dei poeti della sua generazione (è nato nel 1957) Valerio Magrelli è uno dei pochissimi riconosciuti da tutte le voci critiche come una presenza. Inconfondibile è il suo stile, con uno specialismo linguistico deliziosamente manieristico: Magrelli muove dalle cose, le dissolve in lingua, lingua che a sua volta ritenta la costituzione, talvolta enigmistica, della cosa, il suo profilo. C’è una sorta, insomma, di ‘transustanziazione’ continua della cosa in lingua e viceversa in questa poesia. Nella sua ultima raccolta, Disturbi del sistema binario (2006), compariva la tagliola della doppiezza, l’inconoscibile doppiofondo di una creatura cara: variante della solita crepa, rottura, venatura che da sempre attraversa la levigatezza ipertecnica e consapevolissima della dizione magrelliana. Da quel varco, ecco che negli inediti si rifà strada, come ai tempi del notevolissimo Esercizi di tiptologia (1992), ma non più nella memoria bensì nel presente, il motivo del tormento genealogico, della costitutiva faglia di debolezza di una storia familiare-esistenziale, ora più chiaramente incline al sentimento di stanchezza, di turbamento. Ma la forma, che è quasi tutto in poesia, salva dallo spreco autoreferenziale: il gioco e la serietà totalizzante della metafora continuano a convogliare dentro gli squarci biografico-vitali del poeta l’interezza del mondo nei suoi ingranaggi, ruote dentate, meccanismi, secondo una rivisitazione della maniera secentista con cui da tanto tempo, sottilmente, Magrelli delizia i suoi lettori.

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IV. Raccoglimento

Mia debolezza, debolezza mia,

ma che devo fare con te?

Ho cinquant’anni e tremo

quando tuona, e sbaglio ancora posto

come quando sbagliai banco all’asilo.

Ho un corpo trapunto da graffe,

il sonno come un campo di macerie,

la forza che si sbriciola, la memoria in frantumi,

e in questo Grande Sfascio, l’unica cosa intatta resti tu,

mia ferita, mio Graal,

codice a barre

di un estraneo che è leso,

che è fallato, che è costretto

a essere me.

Mia debolezza, talpa del nemico,

creaturina indifesa che mi rendi indifeso,

il solo, vero premio della morte

sarà saperti morta insieme a me,

mio motore,

mio orrore,

mia consustanziale sconfitta.

 

IV. Il funerale laico

Ormai non è rimasto quasi niente,

né schiavi immolati, né balsami,

né roghi, né incenso, né prefiche.

Qualcuno parla, si applaude, il dolore

viene giù senza riparo:

un acquazzone all’aperto.

L’unico sacerdote è l’impresario

di queste funebrissime non-pompe.

Non c’è rimasto niente, appena il morto,

e solo con un morto, si fa poco.

Abbiamo abbattuto le dighe

e il Niente è arrivato fin qua,

lambisce i fiori, circola fra i presenti,

certifica la nuda Verità.

Perciò mi è caro il funerale laico,

un senzatetto che ha come ridosso

o la Piramide o il Tempietto Egizio,

un rifugiato politico

cui danno asilo solo i Faraoni.

Io so il motivo: è per via del fiume.

Qui, tutti noi aspettiamo

sulle rive del Nihil.

 

VIII. Piccole stanze d’albergo

Piccole stanze d’albergo,

grandi macchine di solitudine.

Tagliato come un gambo dentro il vaso,

aspetto. Moquette. Avvolgibili.

Piccole macchine di grande solitudine,

là dove il celibato sposa l’alienazione

con me testimone alle nozze

fra la Mancanza e la Ripetizione.

 

Valerio Magrelli

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