Viaggio con i miei morti sul treno verso la costa./ Li vedo, là dove il mondo parla dei giorni immersi nel fiato. Usiamo la stessa lingua, e nessuna lingua appartiene alla vita/ o alla morte. Poesia è custodire la sapienza dell’oltretomba: nei modelli epico-classici, i discorsi dei trapassati assumono le caratteristiche dell’exemplum e i defunti, in veste di testimoni fra due realtà, indicano ai vivi le scelte da intraprendere, li assistono nelle decisioni da assumere. L’incontro con i morti è parte di quella grande narrazione mitica che caratterizza una civiltà, che costruisce il futuro nel segno di una continuità con il passato. A volte i morti sono così vivi che ne senti il sussurro nell’orecchio; ed è costante esercizio, per un poeta, intrattenersi con loro. Incontro i morti sui margini dentati delle foglie, /ospiti e pietrisco più brillanti – centellinando le veglie,/ perché i nomi vanno incontro a ciò che si ripete;/ e il sole di Eraclito è nuovo tutti i giorni: è’ l’incipit con cui il poeta ci introduce nella sua ultima silloge in cui prende corpo un mondo frammentato, molteplice, ricco di visioni sovrapposte come lo sono le memorie o i sogni che non seguono la logica della veglia. Il titolo della raccolta richiama la divinità del fiume omonimo nella Sicilia occidentale, l’odierno Belice, oggetto di culto particolare in Selinunte. Viene rappresentato in varie monete come un giovane nudo dalle forme efebiche, che con la phiàle sta dinanzi ad un altare intorno al quale un serpente avvolge le proprie spire. Il dispiegarsi della materia del testo ha un andamento “fluviale”: successione ondeggiante di immagini organizzate come stanze natanti nelle acque del dio fiume, abitate da ombre fugaci dalle voci ovattate. È un viaggio labirintico, onirico, tra versi ora musicalmente scanditi, ora presi in un soffocamento dei sensi per la ricchezza evocativa, ora immersi nell’accenno sfocato dei richiami al sesto libro dell’Eneide virgiliana, tra i campi distesi intorno allo Stige, dove Enea deve affrontare i fantasmi del suo passato.
[…] Memoria è oscillazione, /l’Egeo è rimasto – se è possibile – in sillabe di piccoli cammini,/ impercettibili, /dentro le lapidi, /colate,/ nel fumo scucito […] (pag 15). La memoria è uno sguardo razionale, un percorso tra le cose aperto nella prospettiva dei versi .Nel fluire visibile del cammino compiuto , delle tappe percorse, Mello tenta di dar voce all’indicibile, aggiungendo dettagli che ci fanno sentire l’odore dei macigni, dei giacigli di margherite, vedere la traccia di saliva di un cipresso perché la componente proteiforme del verso ci coinvolga, ci inviti a respirare insieme al testo.
[…] ed è così che incontro i morti/ (accolti, indivisibili,/ un unico corso),/ si abbracciano come ciottoli/ (aspetto rigato,/ lamina fogliare con afflusso di/ mare), mostrano nodi di parola con/ l’approssimarsi dell’erranza,/ la loro maschera è infallibile,/ guance di seta,/ un vicolo come allora./ Il primo respiro è/ somiglianza […] (pag. 22). La parola diventa metamorfica, il viaggio tortuoso, la geografia complessa, a tratti sfuggente, piena di spaesamenti e ribaltamenti di visioni ; mutamenti quasi impercettibili che confondono e intensificano quello che sentiamo e ciò che siamo .
[…] Questo è il fiore dei morti,/ fra tanti colori che si contorcono,/ di vaso in vaso. Le loro mani di terra offrivano gemme./ Ecco una visione, una partenza. /Gli occhi accolgono le navi./ Essere il nutrimento dei morti,/ la loro speranza. […] (pag. 13): le sentiamo così vicine, le loro mani, sporche di terra, così piene di tenerezza, quella dell’offerta riparatrice; diventano carezza struggente, manifestano l’affetto verso tutte le cose vive che contengono segretamente, nel loro ruvido guscio , tutti i segnali della fine.
[…]. Fulgidi crani rivolti a est La loro scoperta è pura. Aperte le mani donano un ago di bronzo dalle ossa dai corredi […] (pag. 19) e […] Il teatro ricoperto di terra. Strati smisurati. Sedili putrefatti […] (pag. 49): la poesia è anche dimensione archeologica. Si tratta di due dimensioni umane che si muovono sul comune terreno della memoria, sul riportare alla luce dal profondo. L’archeologo interpreta, restituisce significato al fenomeno della distruzione e dell’inesorabile disfacimento del tempo. La stratificazione archeologica assomiglia all’ inconscio che può portare alla luce, in condizioni a volte imprevedibili, i “reperti” della vita psichica; le sue tracce non si dissolvono nel nulla perché tutto, nel terreno del subconscio, viene depositato e si conserva, pronto ad affiorare.
Le scelte linguistiche dell’autore attivano una complessa tecnica poetica, tesa tra il costante richiamo del paesaggio all’essere umano e l’ esplorazione sensoriale che affina gli odori, li rende sottili, reali, vibranti. La dimensione simbolica sviluppata in sfere diverse, ricollega lo scorrere delle acque del fiume al flusso della vita , all’inevitabile incontro con la morte ma anche alla possibilità di scoperta del sé. Indagare se stessi per giungere ai limiti dell’anima : […] Conosci te stesso/ nel giorno che prepara partenze […] ..Conosci te stesso, bevi la parola Mnemosyne, lascia qualcosa di te/ vicino a qualcosa /di antico […] (pgg. 45,46).
Il poeta , da profondo conoscitore della temperie poetica latina cui appartengono l’interiorizzazione, il simbolismo e l’idealizzazione del paesaggio, in questa sua densa raccolta ci conduce là dove la visione preannuncia la parola e dove la parola stessa contiene il giusto suono, quello che contribuisce alla formazione delle immagini. La lingua, che attua le componenti ritmiche del flusso, è rigorosamente disciplinata, non caricata da retorica, talvolta ricorrente a sfumature semantiche che richiamano il concetto d’alterazione; l’impalcatura metrica sorregge una visione netta, affilata, un intreccio calibrato nel rapporto tra visibile ed invisibile.
Vedere come vede/ il fiume:/ entra, non entra nella vita […]. (pag. 51): vedere con lo sguardo che va oltre le apparenze, abbandonare la prospettiva lineare in cui guardiamo la nostra esistenza, interrogare il senso del tempo, del mondo nascosto nel tempio del passato. In un continuo corpo a corpo con la vita e con la morte, la poesia di Mello si offre come tentativo quasi disperato di resistere all’attuale disgregazione, all’attuale ottusità di senso che è oramai una malattia stratificata e sotterranea che invade le nostre radici. La speranza è di unirsi/a ciò che non c’è:solo scrivendo/– una volta che il niente tace.
Rossella Nicolò