Tra le lettere d’amore scritte a computer, che poi ci metteremo a tremare come la “California amore”. È un universo fatto di emozioni che puntano verso l’alto e paure che inchiodano i piedi all’asfalto quello cantato dal ferrarese Vasco Brondi (meglio conosciuto come «Le luci della centrale elettrica»), un mondo post industriale dove i sentimenti sono l’unica cosa cui aggrapparsi, anche quando fanno male, anche quando si traducono in un’attesa senza fine che rischia di uccidere (“Farò rifare l’asfalto per quando tornerai”). Esibitosi venerdì sera al Foce di Lugano di fronte a un folto pubblico, Brondi ha presentato i brani dei suoi due album, “Canzoni da spiaggia deturpata” (Targa Tenco 2008 come «miglior opera prima cantautorale dell’anno») e “Per ora noi la chiameremo felicità” , dove ancora si notano i riflessi della sua educazione musicale, che muove i primi passi nel punk duro e si stempera a poco a poco a suon di cantautori italiani – soprattutto De Gregori. Nel nuovo EP, “C’eravamo tanto amati “, si capisce che questa ricerca punta in direzione di un ulteriore addolcimento dei modi e un addomesticamento della natura selvaggia del cantante. Da brividi certe impennate che sembrano cercare le stelle o il ritmo puro di un sentimento della vita che è disperazione e voglia di amore, rabbia e rassegnazione. Brondi canta di ventenni italiani fregati dagli adulti, costretti a lavorare nei call center e a vivere nei bilocali da trecento euro al mese, un universo asfittico da cui molti scappano, ma non tutti. C’è chi rimane lì, per paura forse, per angoscia, ad aspettare sperando che chi è partito torni dall’estero (come recita il titolo di una canzone). La città, di fronte a loro, è arida e sempre più cementificata. Non resta che guardare le luci della centrale elettrica, proiettando su un’ipotetica lei (o un ipotetico lui) la speranza di salvarsi.
(Laura Di Corcia – Corriere del Ticino – Pag. 29 – 23/01/2012)