Schegge di noia s’infrangono tra le sillabe di un solitario #ioorestoacasa. Le quattro mura domestiche custodiscono anime in stanby. Si viaggia lenti, lentissimi, col freno a mano tirato. Ogni movimento ha il peso di un “vorrei ma adesso sono bloccato”. Ci si sente prigionieri di un isolamento che ha il sapore di un confino. Niente baci, niente abbracci, niente strette di mano. Niente slalom tra negozi, cene con amici. Chiusi i parrucchieri, chiuse le palestre, i centri di aggregazione, perfino le scuole di ogni ordine e grado.
È il 12 marzo e da due giorni è iniziato il lockdown. Parola nuova che sa di tragico. Un’esperienza del tutto insolita che Veronica Gentili nel suo primo libro Gli immutabili, edito da La nave di Teseo, decide di raccontare step by step, come un dettagliato diario di bordo che raccoglie notizie, ripercorre eventi, esibisce riflessioni e stati d’animo della conduttrice di Stasera Italia weekend e di Stasera Italia estate che nel frattempo in quei giorni non ha mai smesso di lavorare, anche senza ospiti in studio e soltanto con collegamenti Skype spesso di fortuna. Un racconto affrontato sempre con quello guardo che vuole andare un po’ più in là, cifra della sua conduzione televisiva, commentando e analizzando di volta in volta che cosa potrebbe nascondersi dietro ogni azione e reazione.
Non si viaggia se non con la mente, nel più pericoloso dei viaggi: quello dentro se stessi. La Pandemia ci immobilizza in un terrore denso e vischioso dal quale nessuno sa bene quando poter uscire. Ci si sente come a mollo in uno spazio obbligato in cui si fa fatica a galleggiare. Tra paura, angoscia, incertezza riaffiorano rimpianti, riappaiono fantasmi, si naviga nel mare aperto e in tempesta di un inconscio che riemerge inevitabile perché la vita vera è in pausa e riprenderà a data da destinarsi.
Lo sprettro del Covid 19 aleggia tra salotto e cucina, tra la visione di una serie su Netflix e un collegamento Skype comodamente seduti sul divano di casa. Adesso le parole del fratello Alessandro Vespignani, uno dei massimi esperti di epidemia computazionale, risuonano come quelle dell’ Oracolo di Delfi. Siamo tutti naufraghi in un’isola deserta, tra strade vuote e saracinesche abbassate, costretti a misurarci solo con noi stessi e al massimo con quei pochi, pochissimi “affetti stabili” che possediamo. Le coppie compresse in una convivenza forzata riscoprono a fatica una divisione primordiale dei ruoli che la contemporaneità aveva rinnegato. La sfida più temibile è restare in equilibrio nel dannato slalom di sanzioni, multe e autocertificazioni diventate ormai un vero incubo. Si riscopre una coscienza collettiva persa da tempo: alle 18 ci si incontra sui balconi, cantando che “andrà tutto bene”. L’unico modo per salvarsi è la speranza, il sogno, la musica.
Ogni giorno si sfodera dal cilindro l’impietoso bollettino del numero in costante crescita di contagiati e di decessi per Coronavirus, un illustre sconosciuto partito da Wuhan che ci ha costretto nel giro di un mese a fare gli equilibristi con le nostre vite appese a un filo. La buona e sana attitudine alla socialità viene sostituita da una progressiva abitudine all’introversione, fino a raggiungere quella misantropia che si esercita stando da soli. Nel frattempo fa capolino un “risveglio digitale” al quale finora non avevamo mai pensato (del resto, prima del Coronavirus, sfruttarne a pieno le potenzialità non era certo così necessario), che investe la Pubblica Amministrazione con l’innovativo smart working e le scuole con la didattica a distanza. E se Sky manda in onda il primo telegiornale fatto rigorosamente da casa, Zoom e Meet diventano stanze virtuali in cui riunirsi per lavoro e Skype è l’unico modo per salutare amici e parenti lontani e magari organizzare un aperitivo da remoto. Senza tralasciare l’inevitabile gap tecnologico per cui la quarantena dei più anziani e meno tecnologici diventa un vero e proprio esilio.
Veronica Gentili ripercorre i momenti più significativi di lunghissimi mesi di “quarantena” in cui per l’”isolato solitario” è un po’ come un lungo Natale scandito dalla sindrome del “brutto anatroccolo”, che assiste alla sfilata social rigorosamente taroccata degli altri che esibiscono, con tanto di trucco e inganno, vite all’apparenza perfette. E in tutto questo resta l’obbligo di dover trascorrere intere giornate chiusi in casa con la mania di pulire e ordinare ogni angolo perché consapevoli che “siamo migliori di come appaiono le nostre case, dobbiamo solo mettere in ordine per poterlo dimostrare”.
Così, tra un annuncio e l’altro, il dramma raccontato da Mario Riccio, anestesista e rianimatore all’ospedale di Casalmaggiore in provincia di Cremona (per intenderci, il medico che aiutò Piergiorgio Welby a morire): in corsia la difficile scelta, a causa dell’altissimo e insostenibile numero di pazienti da terapia intensiva, su chi provare a salvare e chi no e di come riuscire a spiegare ai parenti del non scelto la logica di questo assurdo e disumano protocollo.
Un virus cattivissimo, che sembrava così lontano eppure adesso ci riguarda tutti. Perfino la stessa autrice cambia a un tratto la percezione della malattia con la notizia che l’amica Lucia, affetta da Covid-19, è stata ricoverata in isolamento all’ospedale Spallanzani. Un vetro di sicurezza la separa dalla realtà circostante. E’ la difficoltà di accettare che il nemico possa assumere il volto delle persone che amiamo.
E poi gli illustri del Covid: da Lucia Bosè a Luis Sepùlveda, da Tom Hanks a Boris Johnson. Chi supera l’ostacolo e chi purtroppo non ce la fa. Fino ad arrivare alla fine del lockdown, tra annunci e polemiche. Siamo all’inizio della Fase 2, quella della convivenza col virus, in cui stavolta la tragedia assume però quasi i contorni di una farsa. Fase 2 contrassegnata dalla valanga di polemiche su movida e assembramenti. Ma è decisamente la fase in cui ci troviamo a guardarci allo specchio da sopravvissuti e a raccogliere i cocci del nostro Io perso tra una camera e l’altra. Tra autocolpevolisti, antigovernisti, aggiratori delle regole. Niente ormai può più scalfirci.
Eppure ancora una volta il principio di autoconservazione dei sistemi ha prevalso. Ma non dovevamo cambiare, trasformarci in persone diverse? Dopo tutto questo, non dovevamo riscoprirci migliori? E invece ora che la primavera è solo un lontano ricordo, l’estate è passata, perfino il virus sembra essere andato in vacanza, si è rivelato tutto un’illusione.
È ottobre e rieccolo qui il Covid 19, pronto per la micidiale seconda ondata. E il lockdown? L’isolamento forzato? La vita sospesa? Un’occasione mancata. La favola è rimasta favola. Il bruco non è diventato farfalla. E noi ci ritroviamo perfettamente immutabili.
Elena Orlando