Ottavio Fatica, di cui è inutile dire la magistrale autorevolezza, anzi mi sento superbo solo a nominarlo a dire il vero, comunque un paio d’anni fa ha pubblicato un libro molto complesso, ma limpido, si intitola “Vicino alla dimora del serpente”; gli avevo anche promesso una lettura puntuale e una lettera che non gli ho mai inviato; la lettura vicino alla dimora del serpente continua: in copertina Fatica ha scelto una poesia, trascelgo quattro versi senza andare a capo: Nessuno ascolta il demone di un altro (…) l’anonimo richiamo nel non detto, il dito sulle labbra per non piangere.
Ecco, l’altro giorno in una lunga telefonata con Alberto Abruzzese di quasi cinque minuti, per Alberto è una telefonata lunghissima, e io apprezzo molto questa convinzione, gli ho detto, o lui ha detto a me, che non leggiamo più come leggevamo. Das Wiederkäuen, solo l’arte del ruminare può aiutarci a comprendere un aforisma, diceva l’amico Fritz Nietzsche, figurarsi un saggio filosofico. Solo una lettura certosina, pensavo, conta, e lontanissimi dal fiato guastato delle platee, e un ritorno a nuova lettura, anche senza tante parole, solo a volo d’uccello sul mare sempre uguale e sempre diverso della pagina (il mare insonne di Omero avrebbe detto il mio maestro Roberto Roversi). Vorrei dire qualcosa di sensato: non leggo più così. Oggi (e non solo da oggi) posso dire di essere attratto dalla profondità della parola, ma anche dal sorvolarne la superficie, non vorrei sembrare superficiale, perlopiù quando il testo è digitale, quindi più ricco e distraente.
Riflettere sull’antiprofondità orizzontale della superficie che non è meno importante della supposta verticalità di ciò che si crede profondo invece è torbido.
Aldus proteggimi tu. Pensa a me non correre.