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Vincent Delecroix. Naufragio

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[…].. E adesso galleggiavano sulla scrivania dell’inquirente, nei locali della Guardia costiera. Ce n’erano esattamente ventisette, tra cui una bambina, sparpagliati tra le penne stilografiche, i bloc-notes, i fascicoli, galleggianti intorno al computer della capitana della Guardia costiera, e tra quelli anche il corpo di colui che quella notte mi aveva chiamato quattordici volte, e che ovviamente adesso non si faceva più sentire[…]

Nella notte tra il 23 e il 24 novembre 2021, un gommone affonda nel Canale della Manica. Muoiono 27 migranti che cercano di raggiungere l’Inghilterra. Durante la notte, quando l’imbarcazione comincia ad affondare, uno dei migranti chiama i servizi di emergenza francesi, fornisce la loro posizione , spiega la loro drammatica situazione al CROSS (Centro operativo regionale di sorveglianza e salvataggio) Gris-Nez ma non vengono inviati aiuti, probabilmente nell’attesa che la corrente li porti in acque britanniche. Vincent Delecroix ha la sensibilità e la capacità di creare un racconto diverso , nell’infinita galassia dei romanzi su questo tema , evitando facili approcci sensazionalistici e attento a costruire una diversa percezione della realtà su un argomento che è divisivo ma che permette anche diverse forme di approccio. S’interroga sull’ inazione, sull’ indifferenza, da un punto di vista più neutro e non a fini moralistici. Indaga le contraddizioni umane e i vissuti intersoggettivi senza pathos o toni melodrammatici creando sul piano concettuale un risultato interessante perché la condizione dello scrittore viene presentata come un incontro-scontro con le energie sociali che attraversano questo momento storico e con il senso della responsabilità collettiva . Come appare piccolo l’umano, nel buio della notte che ingoia corpi davanti alle coste europee ! E intanto la politica continua ad aggiungere filo spinato alle frontiere, a rendere sempre più difficile il lavoro delle Ong. Ne I sommersi e i salvati Primo Levi dice : I carnefici erano fatti della nostra stessa stoffa ….erano esseri umani medi ….non erano mostri … avevano un viso come il nostro. Ancora, in Se questo è un uomo, lo stesso autore chiede ad un altro deportato : Warum? (perché?) . La risposta è : Hier ist kein Warum ! (qui non c’è alcun perché!) . Perché, nelle prime pagine di Naufragio una donna, l’operatrice del centro di salvataggio (una madre, una lavoratrice come tante, con un percorso di vita ordinario) non ha inviato subito i soccorsi richiesti? Perché risponde con cinismo all’uomo che le chiede aiuto, attanagliato dalla disperazione, dalla paura di dover morire insieme ai suoi compagni di viaggio, mentre l’acqua afferra loro le caviglie e li trascina sul fondo, nel gelo della notte che avanza? : Non ti ho chiesto io di partire […] L’hai voluto tu, bello mio, se non volevi bagnarti non dovevi imbarcarti. Non sono stata io a spingerti in acqua e non sono certo venuta io a cercarti nel tuo villaggio o nel tuo campo profughi o nel tuo schifoso sobborgo per strapparti da lì e metterti su quella tua fottuta barca che fa acqua da tutte le parti, e adesso annaspi, e ci credo che hai paura, e mi chiami in soccorso come se fosse colpa mia, e mi chiedi di salvarti e ti spazientisci. Conti su di me. Ma io non ti ho chiesto niente. E allora lasciami fare il mio lavoro e rassegnati ad aspettare […].

La donna (nella finzione narrativa) cerca di spiegare al lettore e all’inquirente che conduce le indagini per accertare le responsabilità dell’accaduto , come il lavoro quotidiano contribuisca a dissolvere, attraverso lunghe notti di procedure e tecniche ripetute, quel sentimento che chiamiamo compassione : […] Il mio mestiere, più in generale, non è quello di interessarmi alla vita di queste persone né di commuovermi della loro sofferenza, presunta o reale, è quello di toglierle dalla baille se necessario […] . L’empatia, allora, diventa una stupidaggine di lusso che si concedono quelli che non fanno niente ma che mostrano commozione di fronte allo spettacolo della sofferenza, di un destino infelice. Perché io, anello di una catena che funziona male, avrei più responsabilità di altri in questo disastro? Questa donna siamo un po’ tutti noi, nella nostra codardia, nella nostra momentanea commozione , pronta a dissolversi rapidamente. La politica, dal canto suo, dopo aver espresso il consueto “profondo cordoglio” , spreca ad ogni naufragio i suoi «mai più». E’ chiaro che ogni tragedia sia la consapevole inevitabile conseguenza delle politiche europee nei confronti del fenomeno migratorio . Forse una nuova forma della banalità del male c’è , e noi ci stiamo abituando, o, peggio, ci siamo già abituati. I migranti che sbarcano sulle nostre coste sono troppi? Se pensiamo questo, allora è inutile discutere del diritto d’asilo, della cooperazione e delle norme d’accoglienza , della tutela e salvaguardia dei diritti umani . Possiamo decidere di ributtarli in mare, rispedirli a casa propria, respingerli violentemente ai confini oppure continuare a sottolineare che noi non siamo responsabili di quelle morti. . Questa la conclusione alle incalzanti domande dell’inquirente : quella nuova tragedia è solo l’esito di un lungo processo, di una lunga storia della quale lei sente di essere solo l’ultimo anello della catena: […]. Sì, avevo confermato, quando il naufragio è cominciato: è questa la vera domanda a cui bisogna rispondere. Perché sono naufragati molto prima di essere naufragati, avevo detto: arenati prima di annegare, è come se l’onda li avesse semplicemente portati via quando erano già arenati sul greto, già mezzi annegati nella sabbia, sotto i sacchi di plastica e i teli delle tende, spinti là, sul greto, da un’onda più grande e invisibile che però veniva da terra, e loro già mezzi morti quando sono arrivati, i bambini come fili di paglia, le donne e gli uomini come rottami, come rifiuti, forse morti del tutto ma senza saperlo, galleggiando sulla terra per centinaia di chilometri prima di galleggiare sulla superficie del mare e trovarvi la fine. Non è nella Manica che è cominciato il loro naufragio: è cominciato quando sono partiti da casa loro. Forse hanno cominciato a naufragare quando si sono messi in testa che sarebbero stati meglio altrove, quando gli è venuta voglia di supermercati e di assegni famigliari, quando hanno sentito parlare di previdenza sociale o quando un cugino che vive a Londra ha detto loro che si diventa miliardari facendo i lavapiatti in una bettola tamil. E allora si potrebbe dire che la loro vera disgrazia, ho ripetuto, sta nel non saper restarsene tranquilli in una stanza. […]

Il crimine in corso contro le persone migranti a livello globale è ancora orfano di definizione. Occorre trovare le parole per identificare, a livello giuridico, il crimine contro l’umanità. Migranticidio? I migranti possono essere considerati alla stregua della popolazione civile che subisce un attacco da parte di uno Stato? Delecroix, con la stessa naturalezza di una messa a fuoco dell’obiettivo di una macchina fotografica, sa inquadrare la visione generale e stringere sul quel dettaglio che ci sfugge, sul quel flusso incessante di sensazioni contrastanti che attraversano il senso di svuotamento morale , il primato dei fatti sui valori. La sua riflessione è capace di conferire un nuovo senso a questi tempi di disorientamento e follia con la potenza di una scrittura affilata, che mette in luce crepe e fratture, ottimamente resa dal traduttore Fabrizio Di Majo

Equidistante dalla parte della vittima e quella del carnefice, dalla passività amorale e l’intenzione colpevole, l’operatrice si vede comunque rispedita al suo posto di osservazione in cima alla scogliera, con vista panoramica sulla tragedia dei migranti, contemplando la tempesta e il naufragio dalle vetrate della stazione semaforica, al riparo sia dal vento sia dai sentimenti, indifferente, o peggio ancora: […] forse, in segreto, godendo dello spettacolo, contenta di essere là dov’ero invece di trovarmi in preda ai tormenti disperati e insignificanti degli imprudenti, mormorando Suave, mari magno turbantibus aequora ventis e terra magnum alterius spectare laborem (è dolce, quando sul vasto mare i venti turbano le acque, assistere da terra al grande travaglio altrui)., citazione tratta dai primi versi del II libro del De rerum natura di Lucrezio che apre il romanzo e che ne costituisce una delle tante chiavi di lettura. Immedesimarsi in un’umanità lontana da sé è facile, commuoversi lontani da quei luoghi di morte è come provare compassione davanti al racconto delle vittime dell’olocausto, il che giustifica il proprio estraniamento. Si prova commozione ed empatia proprio in virtù della distanza perché quest’ultima toglie ogni responsabilità e giustifica ai nostri occhi la mancata assistenza al grido di aiuto . Siamo continuamente esposti, attraverso immagini in diretta, al dolore degli altri : guardando la Tv, ci sentiamo coinvolti, proviamo pietà ma siamo semplici spettatori lontani dalla scena e, per questo, impotenti . Così l’impulso empatico rimane sospeso nel vuoto rapidamente dissipato dalla velocità della vita; resta solo un vago senso di condivisione e la certezza della nostra estraneità.

È da questa postazione che il lettore, nel secondo capitolo, può assistere alle terribili fasi del naufragio, dal momento in cui il gommone comincia a sgonfiarsi nel mezzo della notte e poi, via via i naufraghi che cadono in acqua, le grida di aiuto, lo scivolamento nell’acqua gelida, i disperati tentativi di aggrapparsi ad un tubolare sgonfio, ad un pezzo del gommone che galleggia ancora. Ci sembra di sentire l’accelerazione dei battiti cardiaci, la respirazione impazzita, i tentativi e gli spasmi del corpo per tentare di rimanere a galla. Poi, la rassegnazione, il freddo gelido che anestetizza i corpi, il silenzio, la notte, l’acqua, le parole che si spengono una dopo l’altra fino a quando non percepiamo altro che il movimento del mare, in una specie di silenzio universale in mezzo al quale le rare voci assumono un suono irreale. Passaggi di lettura che ci lasciano attoniti, turbati, fermi nell’immobilità di un tempo mai trascorso, un tempo immobile, catturati nella rete di un sentimento che rende anche noi piccoli relitti umani alla deriva, abbandonati al gioco delle correnti.

[…]. Chi guarda il naufragio, dalla terraferma? Davvero non ci sono che io, io sola? Farebbe comodo a tutti, ma non bisogna crederci: no, non sono sola sulla riva, non sono sola a guardare da lontano e al sicuro lo spettacolo interminabile, notte dopo notte, dei naufragi[…]. Mentre io me ne sto lì, sulla terraferma, ci sono anche tutti gli altri, dietro di me, ed è una folla, migliaia, milioni di persone. Sono tutti lì, in realtà c’è il mondo intero: il mondo intero dietro di me, sulla riva […]

Mentre scrivo questo articolo il contestatissimo patto su immigrazione e asilo (costituito da 10 atti legislativi che dovrebbero garantire solidarietà e responsabilità tra gli Stati membri)diventa legge europea. Noi continuiamo a stare alla finestra, lontani dall’inferno, forse non ancora pronti ad accettare le sfide di un mondo che sta cambiando e di cui non si dovrebbero tracciare i confini.

Rossella Nicolò

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