La nostra Itaca d’oggi, la matrigna terra della nostra memoria cancellata, della bellezza o della poesia oltraggiate, delle nostre passioni incenerite»: un bisogno di capire, una delusione, un dolore è all’origine della narrativa di Vincenzo Consolo, lo scrittore siciliano scomparso sabato a Milano dopo lunga malattia, che, con l’attenzione al presente, racconta il passato, cerca ragioni e sentimenti, come guarda sia alla sua Sicilia, alle sue radici, sia all’illuminismo lombardo, il tutto risolto, anzi innervato su una lingua personalissima che è sostanza del racconto, della riflessione, della presa di posizione. “Pensò che ritrovata la calma, trovate le parole, il tono, la cadenza, avrebbe raccontato e sciolto il suo grumo di dolore”, si legge alla fine di Nottetempo, casa per casa (Premio Strega 1992), confessione che vale per tutta l’opera di Consolo, che altrove spiegava: “Io cerco di salvare le parole per salvare i sentimenti che le parole esprimono, per salvare una certa storia”. E allora ecco la ricerca di una lingua che eviti le piattezze e recuperi un lessico italiano arcaico o siciliano, lavori sul ritmo e sulla diversità di registri. Il sorriso dell’ignoto marinaio , il suo secondo libro, che gli darà fama nel 1976, e Retablo del 1987 restano i due romanzi esemplari per capire la poetica di Consolo, molto legato all’amico Leonardo Sciascia e alla sua siciliana, paradossale, lucida razionalità.
(Paolo Petroni – Corriere del Ticino – Pag. 29 – 23/01/2012)