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Vita di Cristo e del suo cane randagio. Intervista a Vincenzo Pardini

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I suoi romanzi, sono presenti – stando all’Opac – in gran parte delle biblioteche italiane. Inoltre lei viene citato in un Meridiano dedicato ai più grandi autori del novecento letterario italiano. Cosa pensa oggi, da scrittore riconosciuto, di tutta la fatica fatta fin da giovane per affermarsi come scrittore?

Innanzitutto grazie dell’informazione riguardo all’ Opac. Non lo sapevo. Nel Meridiano, realizzato da Enzo Siciliano, fu incluso uno dei primi racconti scritto in età ancora minorile: Acchiappatassi. Circa la fatica debbo dire che ne ho durata abbastanza non tanto a scrivere, quanto a tenere rapporti col mondo editoriale. Un tempo selettivo e severo, adesso lo trovo confusionario e approssimativo. L’unica miglioria la trovo nei più rapidi sistemi di comunicazione dovuti a Internet. Per il resto non mi sembra di essere granché riconosciuto, ma semmai piuttosto tenuto ai margini anche perché, per mia scelta, non ho frequentazioni letterarie. Mi annoiano e mi avviliscono.

Il suo apprendistato umano, rispetto a quello letterario da autodidatta, è fatto di mille lavori svolti nel tempo. Quanto sono stati utili, quei lavori, rispetto all’arte di immaginare e scrivere storie?

Ho svolto per 40 anni lavoro di guardia giurata ai servizi notturni. Lavoro che andava, di giorno, parallelo con altri. Tra cui scrivere articoli di giornale e narrativa. Debbo riconoscere, come mi diceva Mario Tobino, che uno scrittore senza un’occupazione non avrebbe materiale da elaborare. Infatti è lavorando che, spesso, almeno a me, insorgono le idee che spingono a mettere penna in carta. Il lavoro è una scuola di vita e di pensiero unica, a mio avviso. Ciò non toglie he vi possano essere anche scrittori di mestiere, che traggono linfa dalla letteratura, magari realizzando romanzi che sono come i calchi delle dentiere, in quanto compilati sul modello di altri, ma molto appetibili per il pubblico, perché si muovono in superficie, senza mai essere introspettivi. Insomma, marcatori di parole.

Uno scrittore riconosciuto e riconoscibile quasi sempre è anche un coltissimo lettore, e di sicuro lo sarà anche lei: quali sono i suoi autori classici di riferimento… – italiani e stranieri, trasversali ad ogni epoca – e quanto attinge da quelle letture per immaginare e scrivere le sue storie?

La mia base sono stati Omero, Virgilio, Cervantes, Ariosto, La canzone di Rolando scritta pare da Turoldo nel 1050, Il cantare del Cid, La canzone dei Nibelunghi, Sigfrido, La Divina Commedia, Il romanzo greco antico, Moby Dick e altri ancora. Credo di aver appreso da queste opere il mio sistema di scrittura. Altri maestri sono stati gli autori russi e francesi. In particolare Flaubert, Maupassant e Balzac. Fra gli italiani mi sono cari Moravia, Landolfi, Siciliano, Bassani, Parise, la Natalia Ginzburg, la Morante e Gadda. Fra gli americani Hemingway, Steinbeck, Faulkner, Capote e altri.

Che temi affronta il libro a cui sta lavorando in questo periodo? Affronta il tema degli insetti, molto antecedenti all’umanità. Trova che lo scrivere fiction sia una dinamica realmente capace di raccontare quanto un uomo vive sul piano interiore?

Se una fiction è bene realizzata, e svolge un lavoro introspettivo adeguato con la giusta trasfigurazione, cioè diviene arte, credo possa rispecchiare, e fare addirittura meglio comprendere, la nostra interiorità.

Lei è anche presente sui social del web: che dialogo ha instaurato con i suoi lettori che la seguono anche su internet?

Penso un dialogo sereno, di amicizia reciproca. Considero i social dei bar virtuali, dove si possono incontrare vecchi amici e conoscerne di nuovi.

Qual è stata la prima storia che ha letto in vita sua e quanto ha inciso sul primo racconto che ha scritto?

Pinocchio, che mi facevano leggere a scuola. Mi creò, subito, desiderio e tormento di scrivere. Ma non sapevo cosa. Allora, turbato, fantasticavo dicendomi che avrei un giorno scritto storie pure io.

Come è fatta la sua giornata, ovvero che fa quando è in giro per le strade della sua terra – magari a caccia di storie -, in particolare quando si ritrova camminare in solitudine per riflettere sui libri letti e su quelli da leggere?

Veramente quando sono in solitudine non penso quasi mai ai libri da leggere; da molti anni penso a Dio, ai santi, ai mistici, a Cristo. Se le imprese dei personaggi della storia, poniamo Giulio Cesare, Annibale Barca, Napoleone ecc. un tempo mi interessavano, ora mi destano angoscia, in quanto li considero criminali di guerra che, come tali, andrebbero proposti ai ragazzi delle scuole, dicendo loro che non sono più compatibili coi nostri tempi dove, tutti insieme, dobbiamo agognare alla pace. Solo con una nuova educazione, credo infatti, che si possa avere un mondo migliore, riducendo le guerre a tabù. Per il resto nessuna lettura mi appaga quanto quella dei testi sacri. Una lettura diversa, che ti si riversa nello spirito e ti fa sentire la presenza di Dio.

Da fruitore di storie che rapporto ha con il cinema e le serie tv?

Ho poco rapporto con entrambi. Le serie tv le trovo superficiali, prodotti del momento che mostrano scene di violenza sovente eccessive, che certo non educano i giovani. Mentre negli adulti possono suscitare ossessione più di quante già non ne abbiano. Al cinema non vado. Stare al chiuso mi innervosisce.

Come – e quanto – sta lavorando alla sua prossima storia?

Come ho già detto, tratta di insetti, e lo scrivo controvoglia, obbedendo all’idea che continua a insistere. Ma non so cosa ne verrà fuori. Magari perfino qualcosa da buttare.

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