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Vito Di Battista anteprima. Il buon uso della distanza

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Riflessioni preziose e cupe: “Pensi a Verlaine e Rimbaud, mio gentile signore. Pensi a quanto la vita spesso possa rivelarsi ingombrante e spogliare di valore altre questioni che pure meriterebbero la nostra attenzione. Un solo colpo di pistola, a volte, può fare più eco di mille poesie”.

È in libreria Il buon uso della distanza di Vito Di Battista (Gallucci 2023, pp. 400, € 16,50).

Vito di Battista, agente letterario, editor e traduttore, selezionato nel 2012 per il Cantiere di Scritture Giovani del Festivaletteratura di Mantova, ha scritto su “Futura”, la newsletter del “Corriere della Sera”, e su “Nuovi Argomenti”. Il suo primo romanzo, uscito nel 2018, è L’ultima diva dice addio.

Nel cuore di Parigi, nell’anno 1976, Pierre Renard affronta l’amara delusione di un rifiuto inequivocabile per il suo secondo lavoro letterario. Ma in quella stessa serata, una misteriosa figura, conosciuta soltanto come “Madame,” gli rivolge una proposta che scuote la sua esistenza. Tentato dalla curiosità, Pierre acconsente a un patto intrigante: scriverà sotto le direttive di Madame, ottenendo un compenso in cambio, ma a una condizione fondamentale – dovrà utilizzare uno pseudonimo diverso per ciascun suo nuovo libro. “Le sarà risparmiata ogni delusione” lo consola la donna: “perché nessun elogio così come nessuna critica potranno essere ricollegate al suo nome e lei si sentirà al sicuro. Più di ogni altra cosa, sarà libero di diventare qualunque persona vorrà essere”.

Il contatto tra loro sarà puramente epistolare, tramite lettere, e ogni comunicazione verrà intermediata da Colette, l’arguta e saggia matrona di un bordello: «Ogni puttana aspetta soltanto il giorno in cui il buon Signore si degnerà di chiederle scusa».

Mentre Pierre si immerge nelle acque tumultuose del mondo editoriale parigino, dove i ricatti, i favori e le manovre di potere regnano sovrani, la sua vita inizia a svuotarsi di significato. Nulla di ciò che costruisce gli appartiene veramente, nemmeno l’amore. È solo quando decide di rompere le catene dell’inganno che Pierre intraprende un viaggio alla ricerca della verità della sua esistenza: “Ma la verità che conosco io, Théo, ha valore solo per noi. È la nostra. Quella del mondo è la versione che ha scelto lui, come era suo diritto. Potrebbero essere la stessa o avere ben poco in comune”.

Questo romanzo si ispira alla figura di Romain Gary, uno scrittore francese che, nell’ultimo decennio della sua vita, dopo aver conquistato la fama sia tra i critici che tra il pubblico, scrisse quattro opere sotto lo pseudonimo di Émile Ajar. L’identità dell’autore di questi romanzi restò celata fino alla sua morte, creando un enigma letterario di notevole impatto.

Un romanzo ricco di riflessioni sulla verità della vita, sulla scrittura, e sulla bellezza delle parole.

Carlo Tortarolo

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Tornato in strada, mentre consumavo una sigaretta dopo l’altra, mi sono accorto che il discorso generale di quella donna era stato così irragionevolmente impeccabile che chiunque ci fosse dietro doveva averla istruita a dovere.

A dispetto del rigore della messa in scena, il tutto continuava però a parermi inverosimile e immotivato, almeno secondo criteri razionali. Sentivo di nuovo quelle due parti di me che si dibattevano in una lotta muta, ognuna cercando di convincermi delle proprie ragioni e spalando fango sull’altra.

Camminavo nei vicoli dietro Place Boieldieu, nell’illogica e incessante processione di fantasmi che è Parigi, quando, dopo aver svoltato un angolo, ho sentito le note smorzate di un pianoforte scordato dal fondo della strada. Passo dopo passo, il suono si è fatto più limpido. Arrivato all’altezza di una finestra spalancata al primo piano, ho alzato lo sguardo verso la volta affrescata di una stanza.

Non potevo vedere altro se non il soffitto di quella canzone, che mi sono reso conto essere Summertime. Non potevo fissare la schiena di chi stesse suonando, seduto a uno sgabello o a una vecchia sedia impagliata, con i piedi nudi o una canottiera di cotone per accompagnare il fresco della sera; non potevo vedere le sue spalle curve, gli occhi fissi sullo spartito. Non potevo conoscere nulla oltre quella volta che si apriva su un quadrante azzurro e degli intarsi dorati, e probabilmente mai l’avrei conosciuto in tutta la vita.

Eravamo vicini, io e quella persona che esisteva senza esistere davvero. Io ero lì, a inventare tutto di lei, a sommarmi in testa dettagli indispensabili e commoventi per la loro necessità; ma anche se questo ci rendeva complici della stessa notte, la nostra storia in comune le restava oscura. Non era lei a non esistere davvero, ai suoi occhi. Ero io.

In quell’istante, all’improvviso, si è sospeso tutto, anche la notte a china di Parigi. E di fronte all’incantevole abbaglio di una distanza e a tutto il potere che quella distanza era capace di reclamare, ho capito che la proposta di Madame sarebbe forse potuta essere la risposta a ogni silenzio, la porta finalmente dischiusa su ogni stanza di cui continuavo a intravedere solo il soffitto. Bastava solo riuscire a guardarla dalla giusta prospettiva. Bastava solo porsi alla stessa adeguata distanza con cui la notte di Parigi si stava lasciando attraversare dalle parole ignote di un pianoforte scordato.

Mi sono quindi ritrovato a pensare che avrei potuto continuare così come stavo facendo, ad aspettare e sperare, a dare agli altri il potere di decidere se valevo qualcosa, se esisteva davvero un talento con il mio nome sopra. Oppure, avrei potuto cercare di tenere per me una parte di quel potere, di tenerlo con la forza, senza alcun permesso che non fossero il mio e quello di una donna che esisteva solo nelle parole. Avrei potuto decidere di cancellare il mio nome e tutto quello che comportava. Forse aveva ragione Colette: per gente come me, è sempre colpa di qualcun altro. Trovavo quell’idea respingente, quasi ripugnante. Offensiva nel suo rendermi un disilluso che non si assume alcuna responsabilità. Ma poi ho capito che anche la colpa può essere un’opportunità, e che nessuno mi obbligava a non essere mai abbastanza da.

Ecco, allora, cosa è accaduto dopo le prime lettere di Madame.

Lì per lì, mi sono detto che sarebbe stata solo una prova; non avevo motivi per rifiutare e non farmi contagiare da quella follia fuori dalla norma. In fondo, pure Čajkovskij aveva avuto una mecenate per gran parte della vita senza incontrarla; e così, tornato a casa, mi sono seduto alla scrivania e, fingendo di mettere a tacere i dubbi, ho scritto alla mia, di mecenate, per la prima volta.

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