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Vladimir Volkoff anteprima. Il montaggio. Dalla postfazione di Romain Cortés

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Un programma del KGB per conquistare la Francia sul piano culturale: “In guerra, il metodo migliore è prendere intatto lo Stato nemico; annientarlo non è altro che un ripiego. È quello che noi faremo alla Francia, mio Iakov tutto di rubino: la coglieremo intatta”.

Come distruggere un sistema attraverso l’informazione: “1. Discredita il bene 2. Comprometti i capi 3. Fa’ vacillare la loro fede, abbandonali al disprezzo 4. Serviti di uomini vili 5. Disorganizza le autorità 6. Semina la discordia fra i cittadini 7. Sobilla i giovani contro i vecchi 8. Ridicolizza le tradizioni 9. Sconvolgi i rifornimenti 10. Fa’ ascoltare musiche lascive 11. Diffondi la lussuria 12. Sborsa 13. Sii informato”.

Il piano è semplice: “Quel che bisogna fare è demolire l’ordine vecchio senza proporre nulla di preciso per sostituirlo: soltanto quando sarà diventato completamente incapace di difendersi, allora si potrà introdurre l’ordine nuovo”.

È in libreria in edizione numerata da 1 a 1000 Il Montaggio, romanzo di Vladimir Volkoff, tradotto da Laura Lovisetti con la nuova postfazione di Romain Cortés tradotta da Stenio Solinas pubblicata in estratto in anteprima (Edizioni Settecolori 2023, pp. 470, € 25,00).

Vladimir Volkoff è considerato l’erede di Graham Greene e John Le Carrè, nato a Parigi da genitori russi, emigrati al tempo della Rivoluzione d’ottobre ha sempre riconosciuto le sue vere radici in Russia e considerato l’esilio come «la sua patria e il suo destino». Il Montaggio vincitore del Grand Prix du roman de l’Académie française, 1982, ha illustrato i metodi e le reti di trucchi e trappole della disinformazione sovietica in Europa.

Il libro delinea un dettagliato quadro della formazione e del definitivo sgretolamento di un “operatore d’influenza” sovietico a Parigi. Coinvolgente, satirico e in parte manuale pratico e dialogo politico. Aleksandr Psar, discendente di un emigrato russo con il desiderio di ritornare nella madre patria, accetta di collaborare con il KGB, diventando un influente intermediario letterario francese abile nel gestire numerosi intellettuali e giornalisti francesi di diverse inclinazioni politiche.

Il protagonista diffonde notizie mendaci, orchestra ogni possibile forma di disinformazione, progetta campagne intellettuali per minare i pilastri stessi della civiltà occidentale: famiglia, matrimonio, educazione, rispetto per le istituzioni. Invece, gli intellettuali francesi mordono l’esca, credendo ciecamente nel sapiente “montaggio” di menzogne.

Gli intellettuali da corrompere sono dipinti come eccentrici disposti a qualsiasi cosa pur di gonfiare il proprio ego e avanzare nella carriera. Psar e i suoi supervisori sovietici, al contrario, sono presentati come abili strateghi che compiono pochi o nessun passo falso. Insieme, contribuiscono a plasmare l’opinione pubblica francese – e, secondo Volkoff, occidentale – ingannandoci con una falsa sensazione di sicurezza mentre si dirigono verso la conquista del mondo.

Emergono considerazioni sui capi dipartimento dell’intelligence russa: “Nella nostra immensa organizzazione, noi del Dipartimento siamo i soli ai quali la pietà e l’umorismo siano non soltanto permessi ma indispensabili: d’altronde, ci sono permessi unicamente perché ci sono indispensabili.”

Un libro di spionaggio avvincente ma allo stesso tempo un monito all’Occidente in decadenza quando le influenze culturali frutto del tentativo di distruggerlo stavano diventando la cultura dominante.

Carlo Tortarolo

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Dalla postfazione di Romain Cortés tradotta da Stenio Solinas

Nel 1982, quando Le Montage venne pubblicato in Francia, la «posta in gioco» in esso raccontata era apparentemente chiara. L’Urss allora brezneviana, per quanto potesse rivelarsi all’occhio di un osservatore disincantato quanto esperto un cadavere in buona salute, si presentava ancora come un imponente monolite e la profezia del dissidente russo Andrej Amalrik, Sopravviverà l’Unione sovietica fino al 1984?, poco più di un wishful thinking… Lo scontro fra le democrazie occidentali e il comunismo internazionale, la cosiddetta «guerra fredda», permaneva insomma nella sua minacciosa realtà, e la disinformatia narrata nel libro, a opera di un agente letterario al servizio di Mosca, sul milieu culturale transalpino ne era non soltanto la prova provata, ma altresì la messa a nudo di tecniche, strumenti di pressione, raffinato utilizzo sia di inconsapevoli «compagni di strada», sia di più o meno consenzienti «utili idioti», che l’Occidente, liberale o socialdemocratico che fosse, capitalistico comunque, continuava a nutrire nel suo seno.

Quel mondo di ieri oggi non esiste più, eppure mai come ora la lezione storica contenuta nelle pagine di Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa continua a rivelarsi vera, quel «bisogna che tutto cambi perché tutto resti come prima», e le ristampe che nei decenni hanno accompagnato, in patria e all’estero, Le Montage ci dicono proprio che, dietro quell’apparente «posta in gioco» prima ricordata, c’era qualcos’altro, su cui vale la pena riflettere.

(…)

Le Montage è dunque, se si vuole capire bene Volkoff, una sorta di processo all’Occidente o il disvelamento dei mali dell’Occidente stesso, mali che però gli sono consustanziali, lo hanno cioè accompagnato in quei due secoli e mezzo che ci separano da quel 1789 che abbiamo stabilito come punto di partenza. Se li volessimo riassumere in una definizione a noi contemporanea, riduttiva come tutte le definizioni, ma efficace nel coglierne l’essenza che li accomuna, potremmo parlare di una fisiologia (che poi in realtà è una patologia) del «politicamente corretto», definizione che oggi è d’uso comune, ma che in realtà ha cominciato a farsi strada soltanto negli anni Sessanta-Settanta del Novecento nei campus americani, per poi impiantarsi con successo in Francia e nel resto dell’Europa nel decennio successivo, lo stesso in cui Le Montage fa la sua apparizione.

Nel corso dei secoli, va da sé, abbiamo assistito al predominio di un’ideologia o di una religione, di un leader o di una élite di potere, di una monarchia o di una repubblica, per non dire di una dittatura, e alla loro imposizione in termine di verità assoluta cui aderire e/o obbedire… Il «politicamente corretto» è tuttavia qualcosa di diverso, di più sottile se vogliamo, nonché di più pervasivo. Proprio Volkoff l’ha del resto spiegato benissimo nel suo Manuel du politiquement correct, uscito agli inizi degli anni Duemila. È una sorta di «messianismo del nulla», nichilista per natura e per vocazione: «Non si fonda su una rivelazione, ma sull’impossibilità di qualsiasi rivelazione. Al “Io so” dei credenti, e al “Io so di non sapere” degli scettici, oppone un “Io so che non si può sapere e soprattutto non ditemi il contrario”, che cerca di imporre universalmente grazie a modi diversi: la persuasione, la logomachia, l’intimidazione, la pratica della congiura del silenzio sulle opinioni differenti». In sostanza, «invece di pretendere che esiste una verità unica, che è il solo a detenere e che si propone di inculcare o di imporre a tutti in vista della loro salvezza, denigra tutte le verità, quali che siano, e non mette niente al loro posto».

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1810492 Vladimir Volkoff; (add.info.: French writer (russian born) Vladimir Volkoff, here in february 2005); © Louis Monier. All rights reserved 2023.

Se si vuole, dal suo primo apparire a oggi, il «politicamente corretto», ovvero il trionfo dell’esistenza sull’essenza, ha una serie di elementi distintivi mischiati fra loro. Volkoff li riassume così: «Dolorismo e miserabilismo, retaggio di una certa forma di cristianesimo; marcata simpatia per gli have not, antipatia ancor più marcata per gli have, retaggio del socialismo; gusto dell’eguaglianza a tutti i costi e diffidenza nei confronti della società, retaggio del rousseauismo; esacerbato senso della lotta di classe e affinità con tutti i movimenti rivoluzionari, retaggio del marxismo; rifiuto di ogni struttura paterna, residuo di un complesso d’Edipo retaggio del freudismo; reminiscenze dei movimenti sessantottini e postsessantottini, hippies, figli dei fiori, eccetera»…

In Le Montage questa macedonia intellettuale percorre tutto il romanzo: i «Libri Bianchi» sulla sessualità, sulla schiavitù e sui mali del capitalismo, i mea culpa contro l’Occidente, l’idea di progresso con cui si spiega, nel senso che si assolve il presente nel nome di un indefinibile futuro, ogni fallimento di rivoluzione sia sociale sia politica, l’utilizzo attento del linguaggio, nonché il suo impoverimento, grazie al quale depotenziare e/o silenziare qualsiasi pensiero diverso. È quello che Volkoff definisce il detournement del senso delle parole, per cui aristocratico non significa più «partigiano del governo dei migliori», ma, più semplicemente, «nobile»; complice non è chi «aiuta qualcuno a commettere un delitto, un crimine», ma «compagno, amico»; discriminare non più «discernere», ma «opprimere»; estrema destra non più «destra estrema», ma «fascismo», e quest’ultimo, va da sé, non un fenomeno storico, ma un’entità metafisica… E ancora: gestire non significa più «amministrare degli interessi», ma «dirigere non importa cosa» e al limite «rassegnarsi»… Si amministra la propria vita, la propria morte, i propri vizi… In questo caso, puntualizza Volkoff, l’interesse del detournement sta nel far credere che l’archetipo economico la vinca su tutti gli altri: non c’è insomma differenza fra amministrare una chiesa e amministrare una salumeria… Un tempo i re regnavano, i governi governavano, oggi lo Stato amministra…

(…)

Per Orwell, insomma, perché la libertà soccomba è necessario un evento traumatico che ne neghi l’essenza stessa nonché la forma di governo che la rende possibile. Certo, le democrazie, per usare questo termine nel suo significato più astratto e perciò più nobile, possono anche autodistruggersi, ovvero suicidarsi, ma ciò avviene sempre rispetto a un qualcosa che le contrasta, che ne provoca la fine.

Ora, il paradosso del «politicamente corretto» è proprio questo. A differenza dei totalitarismi comunemente intesi, ha raramente bisogno della coercizione fisica contro chi vi si poppone. Proprio perché agisce nel campo delle idee, sa benissimo che il silenzio o la messa al bando intellettuale è la minaccia più efficace, all’interno di una società che si fonda sulla libertà di pensiero e quindi sulla sua circolazione, in quanto toglie la ragion d’essere delle stesse idee. Non le oppone un’idea diversa, di Stato o di forma di governo, ma la verità incontestabile e inconfutabile della propria, un giudizio etico che è una condanna morale. Parafrasando e correggendo Orwell, l’Orwell della Fattoria degli animali, questa volta, «non tutte le idee sono eguali», anche se «alcune idee restano più eguali delle altre»…

Il risultato finale è che il «politicamente corretto» è il pensiero totalitario delle società liberali per come abbiamo cercato di descriverle finora. Rimanda a un messianismo del nulla in cui il mondialismo, inteso come distruzione di tutte quelle barriere protettive, familiari, sociali, nazionali, religiose, artistiche, sessuali, che ne impediscono la propagazione, si allea, osserva ancora Volkoff, a «una tendenza entropica verso il livellamento assoluto»…

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