L’immagine ricorrente di William Burroughs è quella dell’artista maledetto, del vagabondo squattrinato e violento, del tossico. Tossico Burroughs lo fu per davvero ma tutto il resto è un cliché probabilmente ispirato al mondo della Beat Generation che lui stesso, prima di altri, contribuì a costruire con romanzi sconnessi dalla routine di quegli anni come Pasto nudo, per esempio. Erede di una ricca famiglia di imprenditori (il titolo scelto per questa raccolta è un tributo al nonno paterno e a un suo brevetto), Burroughs visse di rendita, e col gruzzoletto che il padre gli mise a disposizione poté laurearsi ad Harvard, perfezionare gli studi a Berkley, Vienna e Città del Messico, viaggiare in lungo e in largo, farsi un guardaroba degno di un attore hollywoodiano.
La calcolatrice meccanica è una raccolta di quarantatre saggi scritti su svariati argomenti: dai Sex Pistols a uno speciale farmaco antinfiammatorio, dal pensiero di Freud all’omosessualità. Le parti però più interessanti sono quelle dedicate alla letteratura, alle tecniche di scrittura, agli incontri con altri autori, reali o attraverso la lettura delle loro opere. Il libro uscì negli Stati Uniti nel 1985, Adelphi lo ha riportato in libreria in questi giorni con la traduzione di Andrew Tanzi. Burroughs è uno scrittore che non si può contenere solo nel romanzo, è stato un intellettuale ad ampio spettro: un analista, un opinionista, un’icona culturale. Prima di lui il saggio era considerata una forma di scrittura marginale per un autore di narrativa. Burroughs è riuscito a infondere a quella forma lo stesso spirito creativo, la stessa aurea di fantasia della fiction, ottenendo un successo e una fama che hanno oltrepassato quella dell’opera in sé. Nel senso che con Burroughs assistiamo allo sdoppiamento che solitamente si riproduce con tutti i personaggi di culto: Oscar Wilde, Carmelo Bene, David Foster Wallace… al Burroughs reale si sovrappone il secondo Burroughs, e cioè il prodotto del suo mito che si impone a prescindere dalla conoscenza dei suoi libri. Dicevo prima della Beat Generation: il tempo trascorso con Jack Kerouac e Allen Ginsberg viene fuori con una serie di dettagli e di curiosità anche divertenti, come il ricordo della visita, proprio con Ginsberg e Fred Jordan, all’Inumano e “senza tempo” Samuel Beckett. L’incontro avvenne a Berlino “Beckett si mostrò educato ed eloquente. Era comunque chiaro, almeno per me, che non aveva il benché minimo interesse per nessuno di noi, né il minimo desiderio di rivederci. Ci avevano avvertiti di portarci da bere perché lui non ce ne avrebbe offerto. Così avevamo portato una bottiglia di whisky”. Beckett è solo uno dei tanti personaggi citati nel libro “Beckett viola tutte le regole e le convenzioni del romanziere… In Beckett non c’è suspense. Beckett è al di sopra della suspense… Beckett è forse lo scrittore più puro che abbia mai scritto. Non c’è altro che la scrittura stessa”.
Straordinarie le pagine dedicate a Ernest Hemingway “Lo stile può diventare una limitazione e un fardello. Hemingway era prigioniero del suo stile. Nessuno può parlare come i personaggi di Hemingway tranne i personaggi di Hemingway”. Il miglior testo di Hem, scrive Burroughs, è senza dubbio Le nevi del kilimangiaro, il racconto che anticipa e racconta il suo suicidio. Come Hemingway, Burroughs ha sfiorato la morte anche da vivo: l’uccisione della moglie la giustificò con la folle parodia di Guglielmo Tell inscenata insieme a lei dopo essersi scolato chissà quanto alcol. La morte è un tema cruciale e sondabile “Gli scrittori sono tutti morti e tutta la scrittura è postuma”. Pasto nudo, il suo romanzo più noto, viene evocato in diverse occasioni a proposito del cut-up, la tecnica di smontaggio e rimontaggio di testi altrui attraverso la quale Burroughs ha perpetuato il proprio mito “Joseph Conrad descrisse in modo superbo giungle, acqua, condizioni atmosferiche: perché non usarle pedissequamente come sfondo per un romanzo ambientato ai tropici?… Rubate tutto quello che vedete… Quando si ritagliano e si riordinano le parole su una pagina, ne emergono di nuove. E le parole cambiano significato”.
Come si diventa scrittori di successo? Si può davvero imparare a scrivere da qualcun altro? “Dopo aver tenuto vari corsi di scrittura creativa, sono arrivato a dubitare che la scrittura si possa insegnare. È come cercare di insegnare a qualcuno a sognare. Così ora insegno la lettura creativa”, spiegava Burroughs cinquant’anni prima che il dibattito sull’importanza della buona lettura prendesse piede in italia. Lo stesso concetto lo ribadisce Stephen King in On writing; esiste una sola regola per diventare scrittori: imparare a leggere bene e leggere molto. Leggete molto. Leggete i libri di William Burroughs.