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William Gaddis. Le perizie

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Le perizie – The recognitions – il primo libro di William Gaddis, venne pubblicato negli Stati Uniti nel 1955, pochi mesi prima che John Barth esordisse con la sua Opera Galleggiante – The Floating Opera (il romanzo uscì nel 1956 ma Barth lo riscrisse undici anni dopo). Cosa c’entri Barth con Gaddis lo vedremo più avanti. Ad eccezione di Harold Bloom che lo inserì nel suo Canone, il romanzo ricevette dalla critica un’accoglienza tiepida almeno fino alla pubblicazione di JR, il secondo romanzo di Gaddis, che nel 1976 valse allo scrittore newyorchese il National Book Award. Occhio alle date: 1955 Le Perizie, 1956 L’Opera Galleggiante, 1966 L’Incanto del Lotto 49 di Thomas Pynchon, una trilogia ideale che nell’arco di un decennio ricodificherà la grammatica della letteratura americana e aprirà la strada ad autori come Donald Barthelme, Don DeLillo, David Foster Wallace, Roberto Bolaño, Rick Moody, William Vollmann… Le Perizie in Italia arrivò nel 1967 con Mondadori e la traduzione di Vincenzo Mantovani, ma neppure la spinta del cambiamento e l’imperversare delle nuove mode aiutarono la diffusione del romanzo, che in questi giorni (5 luglio) è tornato con Il Saggiatore dopo un lungo periodo di assenza – nessun altro libro di Gaddis è disponibile in italiano. Di cosa parliamo. Di un’opera monumentale in ogni senso, a cominciare dalla mole: oltre milleduecento pagine fittissime, con riferimenti storicofilosofici, letterari, date, citazioni, tesi e antitesi, conversazioni vertiginose nelle quali non sempre si capisce chi è che parla e a chi, alternate a digressioni fuori tema o a balbettii talvolta dai contenuti omofobi e razzisti – ma non c’è da scusarsi, amici de Il Saggiatore: oggi Le perizie sarebbe stato censurato o peggio aggiustato da scrupolosi editor Woke – e con una dimensione temporale ballerina, poco nitida (il crollo del tempo con la storia che va e viene in ogni in direzione è una peculiarità di quell’avanguardia).

Non è un libro per tutti, ricordate l’incipit di Casa di Foglie di Mark Danielwski? Se non siete rodati al massimalismo più estremo, allenati alle dotte smarginature del postmoderno che verrà, e armati di santa pazienza, vi suggerisco di starne alla larga; il romanzo più difficile che ho letto volontariamente, disse Jonathan Franzen. Lo dico anch’io. I romanzi sperimentali sono come quegli abiti esagerati che sfilano sulle passerelle dell’alta moda: nessuno li comprerebbe ma tutto quello che indossiamo proviene da lì, è solo questione di tempo. Alcuni stralci de Le perizie sono ai limiti della comprensione, tanto che, come nel caso di altre opere impegnative e al di là della indubbia bravura di Mantovani, è lecito chiedersi fino a che punto un testo così ricco di variazioni sul tema, registri, immagini, figure retoriche e giochi di parole, possa essere riprodotto fedelmente in una lingua diversa da quella originale (è curioso che nel suo cognome Gaddis contenga Gadda, l’autore più difficile del Novecento italiano, le cui acrobazie lessicali ricordano quelle del più giovane collega d’oltreoceano). Chi avesse paura di navigare in acque troppo profonde può avvicinarvisi con un saggio propedeutico: Nobody Grew But the Business: On Life and Work of William Gaddis di Joseph Tabbi. Su internet circola inoltre una guida alla lettura molto dettagliata a cura di Steven Moore, che di Mr Difficult è tra i massimi esperti. Io però non ve la consiglio: i tutorial letterari sono scorciatoie inutili, perfino dannose, impongono visioni e impostazioni che andrebbero lasciate alla sensibilità e all’istinto di ciascuno. Meglio arrangiarsi da soli. E se orientarsi in questo dedalo di principali, coordinate, subordinate, incidentali, vi risulterà troppo complicato, non lasciatevi prendere dal panico: perdersi nei libri di Gaddis è un’esperienza interessante. Entrariamo allora nel racconto, vediamo di capire.

Parte de Le perizie è ambientata nel Greenwich Village di New York, che nei primi anni Cinquanta è un posto brulicante di sognatori e di cialtroni, di scribacchini e artisti pazzi. Il protagonista, Wyatt Gwyon, è il figlio di un pastore protestante che alla chiesa e alla perfezione di Dio preferisce la verità delle opere d’arte. Wyatt imita i dipinti dei maestri fiamminghi che lo hanno preceduto e stringe un patto faustiano con il mercante d’arte e falsario Recktall Brown, forse il personaggio più riuscito del romanzo insieme a Otto Pivner, il commediografo che finge di avere un braccio rotto per sembrare un artista impegnato. Come il goffo protagonista di quel racconto di Borges che si adopera nell’impresa impossibile di scrivere il Don Chisciotte di Cervantes non essendo lui Cervantes, Wyatt si illude di poter riprodurre nelle sue contraffazioni perfino il soffio vitale, lo spirito delle opere imitate – l’intero romanzo è pervaso da una irriverente aura mistica (l’Agnus Dei diventa l’agente letteraria Agnes Deigh…), che lo trattiene sulla falsa pista della redenzione: il solo strumento di riscatto non è la fede ma il denaro. Wyatt mente agli altri e a sé stesso, Wyatt è la personificazione della menzogna, un bugiardo seriale, un disturbato che farfuglia monosillabi e che a un certo punto della storia non verrà neppure chiamato per nome dall’autore (pare che il personaggio sia stato ricalcato sulla figura del celebre fotografo Walker Evans). Nella prime pagine, con la giovane moglie Camilla lo vediamo partire per la Spagna a bordo della Purdue Victory. Durante la traversata la donna viene colpita da un attacco di appendicite e curata da un sedicente medico, Frank Sinisterra, che si scoprirà essere invece un profugo imbarcatosi con documenti da lui stesso falsificati. Colto, vertiginoso, scomposto – secondo canoni evidentemente introdotti dallo stesso Gaddis – ma non privo di momenti di leggerezza e di comicità, con esilaranti scambi di persona, disguidi, incastri, equivoci, a distanza di settanta anni Le perizie sprigiona una forza centripeta difficile da spiegare se non con l’uso virtuoso di una retorica che disorienta, non concede spazi di facile intuizione né riferimenti comodi per il lettore, che viene continuamente colto di sorpresa e trascinato nelle dinamiche delle numerose vicende. Come avrete capito, gli argomenti principali sono la falsificazione dell’arte, l’abuso dell’incapacità altrui di riconoscerne il vero valore, l’autoreferenzialità di un sistema di primedonne che premia i soliti amici degli amici. Temi attualissimi che ritroveremo anche in altri romanzi americani: pensate al fienile più fotografato d’America in Rumore bianco di Don DeLillo “Prima, sa, mi ha accennato all’idea di una fabbrica di romanzi, una specie di catena di montaggio di scrittori, ciascuno col suo piccolo incarico specifico. Produzione di massa, ha detto, e fatta su misura per il gusto del pubblico”. Nel dark web di Gaddis resiste l’idea di un’America che non avendo un proprio gusto né memoria, riproduce stili e modelli di altri. Il primo falsificatore di questa fauna di cialtroni è proprio Wyatt, i cui quadri devono essere necessariamente delle imitazioni perché gli è stato insegnato che “Il Signore è l’unico vero creatore, e solo i peccatori cercano di emularLo”. Quello della creazione è un concetto che Gaddis circumnaviga dall’inizio alla fine del libro sempre con quel tono finto mistico al quale accennavo prima. Tutto è falso, di più: il falso è meglio dell’originale “Le copie, invece, continuavano e raggiungevano la perfezione, quella perfezione alla quale può arrivare solo il falso, riproducendo ogni forma di inadeguatezza, ogni attentato alla Perfezione dell’originale”. Attraverso perizie accomodanti che spacciano delle patacche per opere d’arte “La critica è oggi l’arte più importante. Quella di cui abbiamo più bisogno” e a recensioni compiacenti che urlano al capolavoro, questo processo di contraffazione si riverbera in un cortocircuito di continue dissolvenze dal quale è impossibile emanciparsi.

Uno scherzo infinito, direbbe Wallace parafrasando Amleto, attraverso il quale Gaddis mette in guardia il lettore da ogni forma di mistificazione, raggiro, compresa la religione. Tutte le religioni, non solo quella cristiana “Ma perché si convertono tutti alla Chiesa di Roma? Quando ci sono tante altre religioni così divinamente divertenti?”, sono il tentativo di falsificare delle mitologie preesistenti, e l’impossibilità di distinguere i riti pagani dai simboli e i precetti della fede alla quale assistiamo a un certo punto della storia, serve proprio a negare ogni verità storicizzata dalla Chiesa. È un romanzo sconfinato, Le perizie, senza trama ma denso di microstorie, mille e altre mille, come i personaggi, molti dei quali anonimi, che seguendo le traiettorie del demiurgo Gaddis danno vita a una stupefacente commedia umana. Col senno di poi, una gigantesca allegoria sull’Intelligenza Artificiale o sul marasma delle fake news che ci bombardano attraverso i social. Un libro sulla menzogna e l’impostura, dunque “Segua i libri degli altri, non cerchi di farsi venire un sacco di idee intelligenti”… chi lo dice sembra strizzare l’occhio al cut-up di William Burroughs (quattro anni dopo Le perizie Burroughs pubblicò Pasto nudo). Un delirio di verità sminuite e ribaltate “L’originalità è un artificio di cui si serve la gente priva di talento per fare colpo su altra gente priva di talento, e per difendersi dalla gente di talento…”. Un prodigio letterario paragonabile solo a certe opere di Joyce, per quanto Gaddis abbia sempre negato su di lui l’influenza dello scrittore irlandese (forse non l’ha mai letto) ma dichiarato di essersi ispirato a scrittori come Dostoevskij, o al Frazer de Il Ramo D’oro, o al Robert Graves de La Dea Bianca. Un magma di parole che stordisce, diverte, annoia, sfianca. Negli anni a venire, alla maniera di Wyatt Gwyon, in tanti hanno imitato le forme disordinate di Gaddis: cosa ne sarebbe stato di romanzi come V, Underworld, Il Velo Nero, Infinite Jest, 2666, se Mr Difficult non ci avesse stupito con le sue finzioni? Il ritorno de Le perizie nelle librerie italiane è l’evento letterario più importante del 2024. Grazie a Il Saggiatore per avercelo restituito.

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